VIAREGGIO LA MORTUARIA
Quant'è straordinariamente brutta e scomoda,
anonima e commerciale, questa Viareggio
colla puzza di sabbia intrisa di pedate e
di acque di canale che invadono un mare
grigino e stanco, direi quasi appiccicoso.
Già, la Viareggio dei Viani e dei futuristi,
del premio omonimo, della pretenziosità
culturale, è morta, come ‘decropoli’ che
sa di dolciastro e di decesso in danaro
affogato e baro.
È mummia così orrendamente uguale alla
sé stessa degli anni '60, ma non tanto e non
solo nei divertimenti stracittadini e nel
cattivo gusto delle vetrine pacchianissime,
quanto nella gente, nei ragazzi spacconi, nelle
figlioline annoiate e smorfiose, in quel senso
d’inutile spendaccione che riappiccica e rincolla
come carta moschicida, e per l'eternità: il
non far nulla, il tediarsi, l'inebetirsi.
Quant'è brutta e stupida Viareggio
coi suoi lungomari inesorabilmente kitch
e la gente che strascica una passeggiata
annoiata, uno struscio esangue e
accaldato, infiacchito, stralunato.
Che brivido la Viareggio di mia adolescenza,
del bagno Genova e di Città Giardino da
Gronchi voluta. È l'immutabile Italietta
fottutetta dalla speculazione in cementizia
appropriazione, mentre io stavo al campeggio
allagato da fortunale improvvisato, per aver
amicizia ingrata da villeggianti arricchiti
incapaci di prestarmi copertina non bagnata.
Che cordiale orrore e fetore di queste
vacanze pretenziose e speciose, arcibarbose
e sempre spaventosamente immutabili.
Meglio scappare da questo terribil mare
colle Apuane che fan da muraglia alla
colla che s'addensa in afa gialla.
Ostia sembra, nel suo mare arcisporco,
ma col suo cielo appena più alto, meraviglia
di feniglia rispetto a questo stramercataccio
ove, quasi privo di forze, ora giaccio.
Solo l'odor di battigia è sopportabile
in questo insieme esecrabile e il mare,
nonostante tutto, sembra disinfettare le
grida manzoniane dei bagni in concessione:
vietato tutto, ché siamo il padrone.
Mi risuonano certi nomi di bagni dei miei
tempi d'adolescenza e mi rendo conto che
se avessi continuato a venir qui sarei finito
in fottuta senescenza, anche se fu alla Bussola
che s'ebbe il picco di sessantottina contestazione
contro il melenso artificio della canzone.
Non mi sento per fortuna un panzone
che vive la sua tenzone mangiando il
popone al caffè della piazzona anonima
e cogliona.
L'indomani di mattina trovo una sedia pronta
sulla terrazzina dell'albergo convenzionato
dal Festival Puccini organizzato alla Ridolini,
con voci sopra l'orchestrina di coreana quasi
direzione e mal esecuzione.
Grazi'a Dio il mare verdegrigio
nella sua forza finagostana
fa spirare una brezza quasi di tramontana
e posso respirare quell'iodio
che nella serata proprio mi mancava.
Rivedo così mia infanzia marina
fra i cavalloni spumeggianti e inebrianti
che mi verrebbe quasi voglia di tuffarmi
e forse d'inebriarmi nel tempo
che fu mio ed or non lo è più.
Evviva il salmastro d'alabastro,
animato dal vento di Zoroastro
che spira, foss’io suo figliastro?!
Marco Maria Eller Vainicher
(20 agosto 2004)
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