LE RAGAZZE DI ARCHITETTURA E BERLINO

Hanno un fascino d'arsura
di quella grande calura
di mia tarda adolescenza
con la loro fantastica avvenenza
con la loro profonda aderenza
al mio cuore d'esteta immutato
e della bellissima Susanna orbato.
Una carezza sui capelli, una gonna
sopra il ginocchio, la ricerca d'un foglio
per scrivere, qui ti voglio,
l'asimmetria malandrina d'un girocollo
nel rosso accesotto che lascia intravedere
quel che c'è sotto.

Quegli occhialetti da intellettuale
che, se tolti, sono superiori a un berlinale
di notti di Sabba, di fusti di birra,
di fantastiche saghe di sesso e di gesso
perché costruiscono sculture e architetture
di sapiente arte del piacere e del dovere
di tagliare le barbe dello studio e del ripudio
d'arte inventiva e ricreativa.

S'abbassa la luce, si accende la diapositiva
sul vecchio muro riflessiva: posso solo
distinguere le deliziose leve della signorina
che istintivamente si solleva i capelli e
sembra quasi sappia ch'io scrivo su ella,
sempre quella, la femminella bella.
È di grande attraenza e avvenenza, è un
linguaggio vivente di spinta vitale e
arciculturale con quelle braccia conserte
e superbamente coperte dal seno freschissimo
e dolcissimo...

Intanto l'oratore parla della storia di Berlino,
da gran bombardamento desolata e dimidiata
e poi rinnovata. Tantochè Goethe giammai avrebbe
potuto riconoscerla, a differenza di Roma: sua
via del Corso, sua piazza del Popolo, sua casa
di quasi pittore fra pittori.

Certo le diapositive ci dicono la tristezza dei ruderi
con i falansteri enormi di ricostruzione e speculazione
mentre Under den Linden segna il centro monumentale
con sul fondo l'isola dei musei e vicino la devastazione
di Alexander Platz divisa dalla Porta di Brandeburgo
dal resto occidentale, e chi parla ipotizza divisioni e
riunificazioni di Roma: che tristezza!

Ogni tanto la fanciulla s'alza i capelli e si stiracchia,
poi mostra il suo profilo molto pronunciato,
mentre un soggetto s'è assiso proprio in mezzo e
oltretutto parla e s'agita, quasi per farsi notare...

Sullo schermo si vedono distruzioni e ricostruzioni
d'edilizia popolare che proletarizza il precedente giro di villino,
ma non si sa quanto brutte e tristotte le nuove casotte.

Forse la figliola parla tedesco, è tedesca, forse austriaca
della mia casa d'origine: appena pronuncia un monosillabo,
non ha bisogno di cuffia di traduzione. Ha un vitino
delizioso e le piegoline del pullover che ne muovono la
figura sotto le mani conserte, intorno ai fianchi.

Affascina l'idea che siamo in un ex capannone di
macello riconvertito in aula da conferenze d'università
e l'urbanista ci ricorda l'ordine di grandezza
delle carte topografiche che mostra e illustra.

Si parla di banche, di Kunfusterdamm, di vie ottocentesche,
di edificioni, di museoni, di Rathaus, di grandi magazzini,
di casermoni, di fabbriche di turbine, sempre opere architettoniche
piuttosto che urbanistiche, di visione d'insieme, di piano cittadino.

La Weissestadt o la Hifeinesandlung di Trant sono
con un'idea guida di grosso blocco, ma non con
un'impostazione strategica per l'intera città.

L'Alexanderplatz di Martin Wagner
o la Postdamer di Hagemann
sono degli anni venti, tutte concepite per sé stesse,
ma a tratti i piani urbanistici sono spaventosi e per fortuna
non sempre realizzati. Sempre nei venti, ci saranno grandi
speranze di soluzione sociale ante piano nazista, quello dei
progetti di Speer per costruire la grande asse (anche politica)
che ha spinto alla reazione antiassiale: travertino, vetro et similia.

Poi non si è voluto ricostruire tal quale la città dopo i bombardamenti,
s'è voluto piuttosto ricominciare, concependola con tanto verde e
senza assi, con Hans Scharoun e Le Corbusier fino alla
costruzione del grande muro, intorno al quale si sono edificati
enormi palazzi a destra e a manca.

Il visino dell'innominata mi permette di
prender un attimo di respiro dalla carrellata del
‘chiaccheratore’ che ha realizzato un quartiere
popolar-sociale per operai e impiegati, fino ad
arrivare a Spandau sui laghi ch'io ho tanto amato
nella Berlino del sudest da sei di loro bagnata.

La ragazza si stira un po' e mostra il suo volto
non straordinario d'espressione e di congiunzione,
poi scappa e mi congedo da quell'immagine
senza emozione perché era bellissima
l'immaginazione che superava la sua visione.

Quanta enigmatica sensazione del "caché supérieur
au révélé" come per le strutture d'architettura urbana
di Stedmann, la supercreazione umana.

Marco Maria Eller Vainicher
(4 marzo 2004)