“LE CRÉPUSCULE D'AUBE” (Il Crepuscolo D'Alba o Impero delle Luci di R. Magritte) Sul tango argentino d'oggi o “Otros tangos” L'umidità del solito temporale estivo ha impedito che la serata del Festival di questo 20 agosto 2002 a Tagliacozzo si svolgesse all'aperto. La piazza del piccolo e delizioso teatro, stile La Cometa di Roma, ove s'è rifugiata la compagnia di tango, è metafisica da sotto il tiglio, contornato dai sedili in travertino di controfaglia: l'illuminazione la taglia e l'allunga in una luce d'incanto notturno. Essa è sghimbescia quel tanto che distorce su un lato trapezoidale le perfette e minute proporzioni della facciatina neoclassica del teatr(ino) Talìa. Noto sul lato destro un prospetto di palazzo conventuale con portale e superiore incastonatura nobiliare di pietra, tutto di stile quattrocentesco, mentre un bimbo ritma con i suoi salti di passo il brusio degli attendenti, candidati spettatori. Dò qualche bacino furtivo alla mia ispiratrice che si lamenta di tant'effusione, dopo avermi suggerito una fondamentale osservazione sulle bifore che ornano la forte e contrafforte facciata fluviale del proseguimento non artificiale di tanta grazia rinascimentale del palazzo conventuale. Lorenzaccio (Tozzi), l'artistico direttor di sempre, e la tanghista argentina si presentano sul palco, come compagnia del teatro fantastico di Baires, fatto anche in lingua italiana: aleggia il clima di crisi per lo strozzinaggio dei gran banchieri che si giocano l'Argentina a dadi. Son porci quegli sfruttatori e speculatori antifinanziatori che boicottano la loro patria (oggi anche sott'acqua per le alluvioni) e quasi la soffocano nel fango: così il tango, non a caso di probabile origine cubana, segna un tentativo di riscatto anche verso i desaparecidos che furono vittime tremende d'italiana (e non solo fascista) tradizione. La coreografia riesce a dare il senso di tanta espressiv'arte nelle difficoltà di cotanto straordinario paese d'amore e morte per noi ex emigranti d'italiana memoria, oggi offesa e vilipesa dai nazileghisti di turno. Il buio sembrerebbe impedirmi la scrittura, ma una lampada a pile è per caso nel mio sacchetto! Che stupenda coincidenza! Ora l'attore racconta dell'emigrazione di fine 800 dall'Italia all'Argentina, iniziando nel nostro volgare per poi proseguire nello spagnolo meno intellettuale. Il periodare è drammatico, finché non c'è un attacco registrato di accorato tango quasi disperato, tanto, tanto nostalgico e strappacore. L'attacco di danza è sfrigolante e strusciante nella nudità dei piedi della ballerina: è un tango primigenio e primordiale, quasi primitivo e proletario, mentre la sposa afferra il suo uomo-amante cioé sposo. Vengono le lacrime agli occhi, ci si emoziona in questa narrazione parlata, mimata e cantata poi con sapienzialità teatrata. Il bandoneon inizia il suo (in)canto struggente e così conquista il cuore e l'anima dolente. Il balletto si fa espressionista in una spoglia coreografia aerea e sospesa di mosse atletiche e talvolta patetiche in una scena quasi nuda e rossastra come le poltrone del rinnovato teatrino. Tutto si svolge intorno a una gabbia grigiastra a maglie fitte, quasi ascensore per il patibolo, che sembra aduggiare al centro del palco, un po' più in alto del boccascena. Una danseuse fa la quasi condannata, mentre la brigata che fa la retata s'appropinqua dannata nei colpi di mitraglia quasi in calzamaglia da nera banditaglia. Il ritmo è scandito dagli spari a ripetizione che in rapida successione finiscono per dissolversi lontano. Riparte il tango sapientone e ossessivo, direi pervasivo e un po' arcano. La lanterna è caduta, quasi rumore di fondoscena, ma fin'ora m'ha aiutato a scrivere. Ora dovrò continuare al buio senza speranza di luce fuori dal palcoscenico, per pura passione di tanta tenzone, come da copione. Alcunché di metafisico ci dà del surreale, con una sirena angosciale che suona incessante per poi perdersi in un sibilante controcanto. In realtà questo balletto è accompagnato da un registratango lamentoso, ma esprime altra creazione di nuova produzione. È come in un lupanare che agiscono le protagoniste del danzare, fino all'espressione gestuale della tortura più arcipoliziale. C'è una frenesia dei corpi scelti come strumenti di tensione quasi spasmodica, orgasmica: è un tango surreale e pressoché ideale di metafisica conquista nell'espressione facciale e corporale, secondo una coreografia assiale e trasversale. La frenesia si perde nel silenzio di pause stralunate, poi casca anche sulla scena una infilata di oggetti d'abbigliamento che permettevano l'altero portamento dei danzator e danzatrici. Sono scarpe e qualche indumento che punteggiano di sé il rinnovato palcoscenico. La qualità dei ballerini è superba e ci cattura come in una seduta di forza ed ispirazione pura. La prima ballerina disegna sculture viventi che sono veri portenti. Lo slancio atletico ci permette un volo pindarico in un iperuranico rapinoso e vario. È un tipo di tango fantasioso e scultoreo con due donne e un maschietto solo, poi arriva l'altro e il suo nero vestito si confonde col nero di fondo e d'impiantito. Il rosso sangue domina sul nero, quasi nella fossa di un impero di gladiatoria memoria. Argentina '78, con sparizioni, desaparecidos, in 30.000 sono stati cancellati, come rischia lo scrivente se, dopo la civile esclusione, non farà l'ultra prudente. Un corpo rotola come cadavere ed è polvere accumulata sulle coscienze di noi astanti, rievocanti tanto orrore di nota violenza senza riverenza. Che incoscienza! Ritorna la mitraglia e nessuno mi darà la medaglia per scrivere in controluce d'un buio quasi totale nel gioco d'ospedale che si svolge sulla scena sacrificale. Uso un riflesso dal lumaccio che illumina la consolle appena dietro a me e nessuno si cura di mio lavoro da musical-cronista quasi artista. Marco Maria Eller Vainicher (20 agosto 2002) |