LA ROSA E LA SPADA
(La spina e la lama)
Rafael, oh Rafael che volle
con Antonio, oh Antonio,
allietare mia infanzia.
Rafael io risento te, oh Alberti
oh Bueno, e gioisco di sapere
che la mia nuova fiamma
mi seppe incontrare nei vostri
luoghi, nei miei luoghi, Antonio
Rafael, Rafael Antonio. Una rosa,
bianca rosa, rosa bianca io
le donai e me la ripigliai.
La rosa è meravigliosa,
la spada mi ferì, palazzo Spada,
mi seppellì il Consiglio che nel
Palazzo è qui a uccidere il poeta,
con la rosa, la rosa bianca in mano,
bianca rosa carnosa e prima gigliosa.
Sono fantasmi i limoni nella
Corte della Spada, è algida la
luce spettrale che li illumina, quasi
obitorio di vita per salvarli dal freddo
in teli di plastica e io scribacchio
in piedi fra la rosa e la spada, coi
limoni all'aperto di Roma rinchiusi
nei sacchi di plastica opaca che
palpitano vita reclusa nei loro vasi rosati.
E non ci sono le limonaie di Firenze
dove al calduccio si limonava d'inverno.
Mi si ghiaccia la mano, perdo
il guanto, il guanto, la rosa e
la spada in Palazzo Spada: quel
Consiglio che mi ferì non dandomi
Giustizia, il Consiglio di Stato, e la
rosa e la spada e i vasi di limone
giallorosati e stralunati nello stellato
lassù in cielo limpido scuro, annerito.
Vivi moncherini nei giardini
d'illusione del Borromini, ma di
esoterica riunione nei segni astrali
delle volte affrescate e alate, alate di
grandi sale a galleria decorate di rose dorate.
Un eucalipto dalle foglie lucide, verdissime
riesce a darmi vita e penso a Timi nel suo
Caffè-Perù nomato. Un'ombra mi raggiunge
dopo un fischio, il vento è gelido
ma rubo una foglia del mio
fratello albero per studiarla e
non sento d'averlo mutilato,
semmai gemellato con quest'anima
di dinamo, anima di dinamo,
di dinamo Ti(a)mi?
Timi(a)?
Timi(tica)?
RiT(i)mi?
Potrai mai leggermi, agnu(lu)s poemiae?
Ritmie, aritmie, palmie,
pelusie o erbie da Paese delle Meraviglie:
paese inglese, prati all'inglese.
E Vicolo della Moretta e Via Monserrato?
Tutte citate dal Poeta Rafael e in altri tempi
da me abitate e poi ritrovate nel
Caffè Timeale (città ideale?), che ora vado
a raggiungere senza paura rituale,
ma teneramente abbracciato e abbacinato
da Memosyne, mia musa forse andalusa,
forse magiara, infine transilvana.
Tanto tanto arcana e freschissima
di gioventù abilissima e prontissima
a darmi di spasimante superatissimo,
ma in realtà animo bimbissimo e
purissimo d'un distillato caldissimo
timi(d)issimo, tenuissimo, tenerissimo,
ubriachissimo.
Marco Maria Eller Vainicher
(29/01/04) |