GERUSALEMME NEL FUTURBALLA? 

(Terme di Caracalla, 01/08/02)

Mediocre l'organizzazione, mediocre l'amplificazione: "as usual" non c'è il biglietto previsto per la mia accompagnatrice: per forza è solo una brava pianista piuttosto che una mediocre cronista di chissà quale rivista (da strapazzo?)!     
Gli amplificatori sono arcidistorcenti nel foramento dei faroni laterali: l'un lato e l'altro degli acustici e dei luministici erra col rompere timpani e retine. Nel nero assorbente dei personaggi si svolge un'azione scenica sospesa e frusciante di costumi molto tamburanti nei fumogeni esaltanti, di ammoniaca puzzolenti.   
Incalza la marcia, rompe i ritmi usuali e nelle percussioni coi piatti sonanti riesce a farci entrare pian pianino nella parte, dopo aver sentito la Bertè loredona, l'omona maldeclamona e perfino strillona.
"Va pensiero sull'ali dorate" ci riporta aereo alle grandi caracallate della trionfante Aida imperante: sacripante! Ed ecco il gran Verdone farci da sostegno umorale con balletti ridicoletti. Or ci sono i pirati bluetti, dopo i rossi cardinal di piroetta, ed ecco nella coreografia senza filosofia raccogliersi i crepitii del pubblico applauso sostenuto dalle- di scena - mitraglie, poveri naïf: che "pastiche"!     
Con un Arlecchino danza la bianca Colombina, da lor detta Arlecchina, a far da sostegno carrozzale alla prima vestale di tanto baccanale, come fosse il viaggio di mia mamma sul fiacre detto carrozzella per venirmi a prendere alla stazione di Firenze un'estate dei primi anni sessanta: ecco infatti la carrozza o carrozzone sinti-rom dagli estranei zingara chiamata, a far da meraviglioso colpo di scena nel quasi bizetoso e carmenoso passo a due.      
È un Flamenco cadenzoso, di crescendo rapinoso, con le trombe a sostenere di lontano (e per il sultano) un malinconico farsi carovano. C'è un guardarsi in girotondo, un percepirsi tutto a tondo, una fierezza sapientona e un po' rattona: il taglio d'un coltello, la canna d'un fucile, l'errore madonnale e madornale o sesquipedale, il rossiccio farsi di sangue. C'è l'anticipo d'un incendio, un fuoco di granada, è Gerusalemme che appare dagli inferi polari (tuttavia a sua insaputa sempre ghiacciati!), per come volle il nostro babbo Dante, concettore d'aldilà: e strabilia ora lo spettatore, prima l'eterno lettore. Farà altrettanto con l'elettore o col saggio confessore, d'altre arti il percussore. E col grande inquisitore?      
Siamo al persecutore, al sacrifizio d'attesa cristologica, c'è un lamento che stravolge la Bertè e sembra per te, mia lettrice immaginaria, mia fedele accompagnatrice, d'alta volontà nutrice...       
L'araba fenice, enfatica ed haccaosa, imploratrice d'Allah e di Muslim, anticipa uno schiocco collettivo di subitanei colpi di marcia e di gestalt gestuale ora matronale, ora filiale. 
Beppe il Menegatto, dett'anche Melegatto o Capuletto di Verona pandorone (il gran mangione!), ha fatto tutto con molto tatto e quasi dirige col de piscopo un'orchestrina (una band o forse una gang?).
Di meri tamburi a percussione, una batteria che dal vivo ci dà la sensazione di tanta oriental tenzone.         
La ballerina deliziosa si fa un po' seducente, anzi molto sapiente di forme e di gesti, nell'ancheggiare lezioso, nel volar dei suoi arti quasi superiori alle singole parti, è un vero trionfo delle arti di balletto circolare e un po' circale o circense che vogliasi dir... È la musica, poi
il gesto, infine il testo, tutto di teatro sottiletto, così che noi non ce ne andiamo a letto, ma ci compiacciamo l'un l'altro vivendo l'applauso valzeroso d'un momento favoloso! 
Poi arriva nel "pastiche" generale, lo stucchevole trionfo d'antisenso dei cicisbei damerini in marsina, somma di citazioni un po' kitchione, viva le evocazioni tanto sornione quanto civettone. Sa di precotta insalata mista e riscaldata, minestrone senza piu' verdure, tutto ribollito in passato un po' stracotto e saltato nel fritto misto del ribollente olio di balestra che incendia la finestra di torre castellana e un po' d'altana.
Il violino tremolato, benmal registrato, moltomal s'incardinerà, hai noi chissà come, con la percussione e sarà un sospirare di costumi fra
i più versaciani e quasi ridanciani (ona ona, che bella rificolona!). Il caschetto di scooter cittadino, s'alterna con il damerino, la vogliosa ballerina, di plissé vaporosa, si porta la tapina, sulla strada prima della Giuliettina romeina e un po' rompina, poi della Giuliettona romeosa e un po' romposa (financo pomposa!).         
Lei è brava e ci cinguetta fra marsine e gran militar spalline: ma che
c'entra fra i semiti, o antisemiti, fra i palestinesi o gli israeliani, fra gli arabi o i giudai, tanto clamor di lai? Che cosa occorre per far in tante forre precipitar le grandi morre, di sostegno vincitor? Un forte rock ci stravolge nel farsi di torre degli automi motoristi e militaristi, di crinoline agghindati, poi la Bertè (che sempre c'è) strilla per pena sull'incontro di piazza fra strazianti coglionazzi che fanno vaste pozze di sanguinolento carnaio rappreso.
Oggi c'è la strage di Jerusalem University, la follia suicida-omicida di guerra infinita, e quest'altra ci fa pure la salmodia con l'ampia cacofonia d'elettronica amplifonia: che stupidìa da ripudìa!  
Sergio Leone subentra con la sfida messicana o a sud della nordamericana Arizona texana: che mattana o mattanza baraccona,
la 'cogliona'!    
La grande cavolata d'un vecchio 'pseudofrocio' s'esprime in una sorta di fiorentina bucaiolaggine, perversa e sapientona, alla zeffirelliana albertazzona, piuttosto erudita zavorrona: che stagiona! Mala tempora currunt, nella mondanità più frivolona. Che barba d'applausoni di pubblico da prima non pagante: assatanante!        
E pensare che sono stato proprio invitato, non per prendere manganellate sul mio povero palato d'uomo di teatro, per di più musicale, l'arrabbiato! Che scassato, questo emerito 'scazzato', mi fa scrivere stremato in indignato pubblico ludibrio sulle orrende di gusto cadute, mentre per fortuna respiro il profumo di mia ale... Superamata, l'eterna desiata! È in blunotte abbigliata, col bianco angoroso che le disegna un seno straordinario nella sobria formazione di due coppe palmo a palmo raccolte per allietare ogni coppiere degli dei, in attesa di realizzare una goyosa spagnolesca prova d'amore, con me a far da mero megafono dai medesimi inviato, mentre s'agita un povero nudastro ballerinastro a riecheggiare il patetico-ridicolo d'uno spettaccolo orrifico.
Và pensiero rimane, oramai esangue, il refrain caravanoso, quasi carro dei tespi dai ronzini stremati ed assetati di fonti inesistenti che non attraversano questo deserto di gusto.  
Finalmente posso superveder il mio grandinfantil mito 'rifraccioso' (rifrangente e distorcente). È proprio la Carla Fracci minutina, che si muove tanto in serotina performance, un po' sibillina: è di blunotte abbigliata, come la mia amata pianistina ed altrettanto graziosina, la famosa ballerina. 
Che singultino mi viene a vederla circondata, il mio mito avito, da tanta cavolata. È lo spreco d'arte e di parte, eppur c'è tanta vanagloria in questa gestualità assolutoria d'ogni movimento purchessia di corpi in musica accompagnati: ma chi li ha disegnati? (quali disgraziati!)
Ci sono i Flamenchi più fantasiosi, con marcette riverdiane e rinverdite da corse ardite, mai sopite, ma poi troppo imbarocchite. Per davvero mi dispiace dover stroncare con tante parole amare esercizi così virtuosisti: ma quanto tristi!   
È veramente la ricerca puttanesca di meraviglia cialtronesca: il barocco un po' rifatto e stravolto delle liriche luziane, povero Mario quanto costretto a ridursi nella voce di balera di quella soporosa 'avanzo di galera'.
Vedere il gusto sobrio e brillante di tanti pendaglini d'oro bianco alle orecchine della mia compagna m'introduce alla delizia di tanta fracci mimettosa, un po' dispettosa verso il suo passato di arcigrandissima, tuttavia minutissima e gestualissima, arcidolcissima, ma dove sistemata così in una gran cagata, come uccellino senza mossa, pronta a farsi prendere da un lupaccio violento e brutale, proprio banale,
bianale.
Intanto l'alto lamento della donna mussulmana viene svolto per orrendi lai dalla gran violentatrice, che lo srecita contro la mia Fracci, che lo balla: è una vera palla da bowling sulla gran birilla che invece lo distilla, stilla a stilla!
Che vergogna mio Dio d'Israele, tu che raccogli le tre grandi tradizioni per cui Abramo fu tuo figlio e Gesù il resuscitato tuo secondo, al di là degli Abeli e dei Caini, tutti assassini, mentre Maometto cristiano fu il terzo fratre, ed io ti celebro come il più grande antiguerra, mio amor di pace! Gia l'amor di Dio è sapersi amare, non ce lo possiamo mai scordare...
Evviva Bush, Billaden e Sharon, coi loro doppi sportelli e il quarto uomo, di pietra convitato al Fondo monetario e nella mondiale Banca di sangue, finanza e armamenti: contro noi poveri impotenti!
Che recita proprio schifosa di lamenti veri e gravissimi, il birignao retorico ci fa vergogna d'essere astanti di tanto orrifica supponenza: che violenza!
Ma insomma questo povero corpo di ballo non meritava tanto ludibrio: sono proprio bravi e compunti i 110 assunti, direi consunti, dal grande lavorio che richiede! 
C'è infine la poesia sulle torri newyorkesi dell'eterno al Nobel candidato, cui ho dato titolo prima "Agli Steli" (di fiore), per il Centro Studi Americani di via Caetani, ed ora "Le Due Steli"(di pietra),
con il solito Và Pensiero a far da 'manicone' di sostegno.
Vergogna ho dovuto gridare, e da molti farmi approvare, mentre la fracci danza figurando da 'inconsapevolona' che mi guarda disperata perché totalmente disimparata, con la nebbia dietro per le torri cadute, nella retorica generale dei buoni sentimenti: viva il melenso e il controsenso!
Il povero facchino, dall'opera pagato, lancia garofani di craxiana memoria, misto il bouquet (come in tutta l'orripilante operaccia) di margheritone, lilium e altra verdura, col claqueur che batte anche nel sottopalco e urla bravi, bravi! Ma che iattura, è quasi una tortura!
L'estintore rosso fuoco si presenta in ricordo dei poveri vigili sacrificati, come Marta Russo e Giorgiana Masi in terra d'ignoti, fino a quel Carlo Giuliani, così vergognosamente immolati sull'altar di patria di tutta la politica, vuoi nazionale, vuoi neoglobale (e anche genitoriale e filiale, perfino interinale e fetale?). In attesa di rivendicazioni...

Phillips