FUMI DI MARZO IN UMBRIA  

Un sole slavato in cielo nebbioso
sembra divina velina di presepe diurno,
nasce sui fianchi ad archi dei colli umbri
una sinfonia d'antichi fumi a colonna
per altezze in scala crescente
e sorregge il mio pensiero igneo.

Finalmente ho bruciato il neoavanguardista:
quella faccia d'Alighier professorino, un po'
anzianino-vanitoso che s'è dato per marchettone
(forse gratuito!) alla provincial pappa
in palazzo di bignoline folignatine.

“Semo gente di F., semo fatti così!”
S'è scelto, il furbone anche cazzone,
un domandante noioso e ignorante
ingaggiato da piccola arrivista
fatta di tanta, tanta ipocrisia ruffianista,
dedicata a mettere insieme il nulla
sommatoria delle quattro operazioni
di nulla più nulla per nulla diviso nulla
meno nulla.

Siamo arrivati al vuoto, vuoto del
deprimente superimprimente, per mia
figlia che scopro non insensibile e
quasi credibile sulla sua sofferenza verso
l'altrui antipoetica demenza, mentre
m'attacca sotto i fumi lungo la strada
di ritorno, dopo l'abbandono d'un perseguitato
dal suo stesso esser sé stesso non compromesso.

Che biecaggine nell'insulsaggine della serata
piena di niente di niente per la gente considerata
di mente assente e onniassorbente.
Che squallore, che livore di grigiore, di tedio
fabbricato ma senza un Leopardi soffert'annoiato,
semmai di rimbambimento presuntuoso e soporoso:
il vecchietto affabula amabilmente
nella vacua vanità del non dir niente
e s'aggrappa nelle non questioni alle istrioni
affermazioni di sua vita d'esternazioni di
potere servitrici, fosse Stalin o la Feltrinelli,
fosse il partito o l'offerta d'un seggio nel parlamento
trito, senza mai aver concepito vero spartito musicale
o seminale, checché dica l'ex neoavanguardia trionfale.

Tutto è aneddoto e non più di significante e dotto,
stracotto e ricotto, pappa bruciata di non 68 e maleolente
di finta ironia irridente di senso e significato
storico, artistico, poetico. Povera neoavanguardia
in mano a un che si ripete e sembra un gigante nano:
forse è solo un gran cano che abbaia, abbaia alla
notte selvaggia d'incultura dei notabili insaziabili
di soporifera sbrodolatura del cammeino un po' cretino
della storia, non-storia delle avanguardie infingarde
che ci hanno solo fatto crescere le barbe!

Marco Maria Eller Vainicher
(13 marzo 2004)