DOMENICA 14 MARZO 2004

Mi commuovo immediatamente, forse perché mi
sono appena innamorato e chi mi ha condotto qui è
colei che così volle farmi sentire e risentire felicità,
prima con Klee e poi ora con Shlomo Mintz. Suona,
il celebre maestro, il Concerto in mi minore op.64 di
Felix Mendelssohn Bartholdy, amato da chi ama: è la
vaghezza d'amore romantico, è la finezza della gran
sonata di violino e orchestra, della quale egli è insieme
solista e direttore, a ridonarci il genio del compositore.
Il canto dei legni accompagna in contrappunto, come
il ronzio di un calabrone, la forza lirica del violino
solista che poi viene ripreso dai fiati con una tensione
sublime di pathos e armonia.
Maria Chiara m'ha donato anche questo ed è
straordinario ch'io sia all'Argentina, luogo di mia
poesia (ascoltata, pensata e ricreata), a nuovamente
comporre, ma sul comportamento musicale prima
ancora di quello poetico. Il dialogo tematico è fittissimo
e sentitissimo, poi c'è l'ala amplificata d'orchestra che
dà respiro e vastità aeree.
Lo struggimento ci prende subito e ci strabilia.
La ripresa del tema, celeberrimo, ci mette in culla e
ci trastulla di ricordi infantili, come i colori di mia
camicia che ricordano l'etereo ed eterno quadretto
di Klee con l'azzurro slavato cilestrino, il giallo e il
rosa mai superato in pastello acquerellato.
Che meraviglia il riemergere dal fondo della
orchestra del pastoral tema silvano, di forte richiamo
arcano. Un colpo di tosse si permette d'interrompere
la tensione del violino solo, che Shlomo imbraccia
come un pargolo e fa cantare come un usignolo:
“Nightingale, my nightingale” che di mattina
illumini il bosco di canti e rischiari di suoni
sublimi l'animo nostro.
Mendelssohn era così dotato ch'ha mutato il
nostro fato, dolentemente sapienzato da tante tribo-
lazioni di vita vissute e pasciute, certo cresciute e poi
pian piano sparite. Penso a Maria Chiara, chissà
dove sarà, dopo che stamani l'ho sentita ancora
dormiente, con una vocina da vergine cuccia appena
svegliata e impastata di sonno. Scoprirò poi ch'era lì
presente, sulla mia stessa fila, senza che ci vedessimo
fisicamente ma in spiritual unione.
Ecco quei tremuli e fremuli che tanto c'incantano
e ci rincantano. C'è un saluto, poi un ritrovarsi e un
lasciarsi e un festeggiare dopo il nuovo incontrarsi e
uno stupirsi, un rivedersi, un esultare. Fantasticamente
entusiasta il pubblico applaude estasiato. Ora Mintz
dà un bis con un ostinato che solo il violino sa esprimere,
c'è un impegno plastico superlativo e sembrano
mille violini che vibrano nella loro unica emotività,
mille creature mosse da una mano sola, con l'altra
che intavola le variazioni cromatiche : nuovo Klee
di Maria Chiara, la grande superbara, che dà però
alla mia vita svolta di bellezza rara ed è presente con
la sua assenza universale e cara. Un bravo al superbo
genio di violino sapienzato.
La sinfonia numero uno di Schumann viene chiamata
La Primavera ed è dedicata al suo risveglio:
mai momento fu più indicato mentre Maria Chiara
aleggia con la sua apparente assenza, quasi per
farsi cercare ancorpiù, almeno mentalmente. Intanto
nella sua impetuosità questo tempo d'allegro si svolge
anche per morbidezze esclamatorie tutte romantiche,
qual’è il nostro quadro. Attendendo la folgore, che è
poi il colpo di fulmine che forse m'ha incenerito e
risollevato in nuova dimensione, come l'Araba Fenice
che risorge dalle sue ceneri: quale sublimità coloristica
e contenutistica per suoni parossistici!
Shlomo ora dirige soltanto, e così suona l'orchestra
invece del suo violino, il suo piglio è molto deciso ed
imperativo, come richiede l'atmosfera sonora. Siamo
in maggiore e tutto squilla, anche se morbidamente
come sempre in Schumann; ora il tempo lento ci
attanaglia e penso alla mia primavera quasi d'inverno,
la mia lepre marzolina che m'unisce alla sera e alla
mattina, fuggendo e rimanendo.
Il respiro lieve dei corni inglesi, dei fagotti e degli
oboi si coniuga ai legni con particolare soffusione, fino
all'attacco di tutti gli archi in una coloritura d'imbellitura
che sa di suite o danza pura, nella forma tradizionale
di minuetto e rondò. Papara, papara quanta fantasia,
quanta armonia, in queste marcette in forma di ballatelle
e Shlomo non accentua, piuttosto smorza: l'intensità
viscerale fra terra, fuoco, acqua e aria è sempre del gigante
romantico Robert Schumann, che rimane unico
nel suo genere. Le sospensioni sono più forti delle
depressioni, certo è di grande goduria e senza penuria
tutta la romantica furia che ci dona il suo musicar.

Marco Maria Eller Vainicher