DOLCE AFRICA MARTORIATA

È una sera di quei sabati ove mi sento abbandonato ma un depliant azzurrato mi dice che c'è “Allah n'est pas obligé” in forma di danza all'omonima romana accademia nazionale e così, grazie ad un amico che è più di me ciclista, decido di percorrere l'arciaccidentata banchina di lungotevere disastrata, ma d'estate piena di tanti baracchini con canti, bar e mercatini, per raggiungere dal Vaticano l'Aventino scicchino.

Sarà una sorpresa di vertiginosa intensità nella verzura romana ritrovare arcana, nei suoni universali di piccola band africana e nella voce recitante in quel francese da ‘patois volé’ del ‘Griot p'tit nègre’ cantilenante, la totalizzante e coinvolgente espressività danzante di tutti i giovanissimi e freschissimi allievi nostrani che narrano col corpo in energia lievi formidabile e cantabile grandramma sacro di un continente oramai in general massacro: dall'infibulazione per le bimbe al mitra pei bimbi, alla tortura e alla miseria per tutti.

Rifletterò amaro sul sito a me sinora sconosciuto d'architettural fascismo impastato e scritto, smentito per grande fortuna da una nuova scena così ben impostata e drammatizzata nella figura del soldato bambino Birahima che viaggia fra Costa d'Avorio e Liberia collo zoppo bandito affarista Yacouba (Pietro Gambadilegno?) in cerca della zia, nuova tutrice, ora che ha perso la madre disperatamente amata e invocata.

Ed è una storia di agguati, di guerre feroci e bambine, proprio assassine, oltrechè adulte e stolte perché fra poverissimi a favore di ricchissimi che sulla tradizione neo-post-coloniale controllano le immense, seppur’esauribili, risorse naturali spartite in base ad artificiose e manovrate guerre tribali.

Quanto oblio, per dio, sul fatto che ogni dio creduto e pasciuto non sarebbe obbligato, sia Yaveh o Allah o questo qua, a esser giusto nel suo gran potere onusto, per le cose di quaggiù, come se ci fosse un lassù ove l'orrore presente e permanente non può arrivare, perché nulla ci sarebbe da fare per sopravvivere nell'ipotetico paradiso a nessuno inviso.

Il trionfo del non senso è così appagato e realizzato coi cento bimbi di danza educati che rappresentano immedesimati violenze, ferocie, lamentazioni, come fossero esercitazioni fisico-atletiche d'arti peripatetiche.

Le luci radenti, le scene sconvolgenti, la musica coinvolgente: ogni strumento è un portento per darci la suggestione concreta di martirio annunciato e stralunato per nostro animo contrito e orripilato.

Scatenati Sottoventi concedete che è possibile ritrovare sapienti, anche grazie alla corporal danza innocente e disciplinante da voi realizzata, felice pace antiviolenta e senz'armi incruenta, nella quale imparare tutti insieme appassionati a giocare ad amare, che è la sola avventura che valga la pena di vivere in natura.

Marco Maria Eller Vainicher
(4 luglio 2004)