UNO SGUARDO CELATO
(E dunque alato?)
Alquanto annoiato e oramai
costretto a mettermi di rimpetto agli
oratori dei vari uditori per conferenze
cui assisto in permanenza senza mai
poter e voler prendere la presidenza,
ma con vista troppo offuscata per
confondermi nella platea affollata
e così dover sedere in prima fila
senza stare in fila; questa mattina
in Campidoglio alla presentazione di
Festival romano in gran concione,
mi son posizionato a seguir con la
segreta speranza di trovar da manducar.
Desiderio che è dei romani scrocconi e di
ricevimenti frequentatori ‘sfaccendatori’.
C’erano i soliti caporioni, sindaconi
e assessoroni, funzionarioni non certo
libertari, bensì arraffoni e tenutari anche
di palcoscenici direi quasi ‘oscenici’.
In tutto ciò, perso nella lettura di dantesca
lapide per me d’impossibile decifrazione
per incapacità di metter a fuoco mia vista
oramai guastata da infingardi oculisti, a
un tratto riesco a intravvedere fanciulla
signora dall’alto tratto di femmina (per
me il ‘superattratto’), in vestito di primavera
d’autunno colorato e foggiato quasi di seta
fosse fatturato, se non ben cucito...
Subitamente suo sguardo il mio colpisce e
a perdifiato, ché sembra nascondere in sé il
proprio sé e così la vertigine dispensare a chi
pensa di saper compiacere l’altrui esistere.
Al nome di Francesca risponderà la suprema
signora che Lisa, la poetessa fessa, mi ricorderà
ancor per la sua bruna castanità compassionata
e per le sue fattezze d’eleganza sovrana e misteriosa
e arcana. Ho avuto il coraggio di parlarle, alla signora
testé sposata e giubilata, che i miei complimenti
sembra di buon animo voler accettare e gradire
per suo sguardo d’innocente malia così insuperato;
quasi che ogni momento che le palpebre dalle belle
ciglia chiuda e riapra sia il segno di una sua e mia
miglior vita, da subito raggiungere in un’estrema
unzione magica, unzione d’anima persa e poi rinata
ma per amore sempre inviolata.
È arduo nella parola che ci è data da lingua naturale
esprimere l’alta sensazione d’abissale cima raggiunta
in quel batter di palpebre che a mio cuore palpita e
ripalpita e mi cattura e m’imprigiona: m’incanterei
per ore e giorni ad ammirare tanta grazia, che il mio
mondo sempre ringrazia per sua esistenza inattesa e
protesa, tuttavia sublimamente calma e distesa perché
“insaisissable” in quell’eterno femminino mai afferrabile,
mai penetrabile, mai superabile e mai contenibile.
Francesca, che presto visita virtuale mi farai, vorrei
poterti testimoniare il mio stupore per la tua beltà
di straordinario vigore, nel tuo sorridermi e nel tuo
fissarmi con occhi castani come tuoi capelli fini, essendo
tu nell’attimo e per eterni attimi del poeta musa massima
e irripetibile, benché sposa novella ed innamorata bella.
Francesca, di delizia portatrice e per me educatrice,
mi saprai dare la sensazione di non aver errato nel
far cadere la mia attenzione sulla tua sì graziosa persona,
che gioia mi dona solo ad ammirarla ed ancor più a
parlarle per pensieri e riflessioni donarle, in atto gratuito
che una storica d’arte contemporanea, qual tu sei, non
può che allegramente apprezzare e quasi amare.
Così, pieno di belle considerazioni e fertile di novelle
creazioni, mi fermo a rimirare l’ineguagliato panorama dei
Fori romani ed ecco che sulla mia panchina di pietra e a me
“à côté” si siederà Sowon, tenerissima e morbidissima, che
da Seul arriva col suo violoncello e le sue capacità musicali
e che ancora vent’anni compiuti non ha. È fresca Sowon, è
sensibile Sowon, è artista Sowon, la dolcissima come di
zucchero filante: è pienamente ingenua ed è fata fatata, per
me tanto inaspettata quanto Lei, la mia speranza di buona
volontà, Sowon sempre inconsciamente desiata.
Ho avuto la fortuna di esser oggi aiutato dal divinante
che si cela dietro quel femmineo sguardo stupendamente
intrigante e svenevole se, vuoi Francesca vuoi Sowon,
ho incontrato. E son due muse così diverse, così lontane,
così arcane, ma dalla coincidenza spaziale e temporale unite
in un’unica poesia che a lor dedicar potrò e sarà per
e(s)ternare quello sguardo nascosto che m’ipnotizza
nella tradizione mediterranea, come in quella coreana,
di elevata romantica contezza e contentezza per
l’ammirazione prima nascosta e poi palese che il
mio sguardo appassionato e non più celato, semmai
alato, a lor sempre dona e donerà per sempre…
Marco Maria Eller Vainicher
(26/06/2006) |