LA NATURA CONTRO L’INCULTURA
(di chi affetti ed ospitalità non vuol riconoscere)

Il crepuscolo sprofonda nella notte in questa già
mia di Firenze campagna, ove di giorno viene la
cecagna per il troppo cibo che ognun di noi man-
tiene sin troppo vivo e vegeto in un magna-magna.

Son sul terrazzo di fronte ad avita magione di mio
‘sorellone’ e guardo la luna crescente fra le nubi di
luce iridescente con sull’orizzonte i profili scuri di
colli morbidi e dolci, a tratti giù nella valle punteggiati
di luci, come rificolone a festone (per immaginazione).

Friniscono le cicale in questa primavera già calda, anche
se austera e di poca ospitalità sincera: son le dieci di sera
eppure si continua ad annaffiare ogni pianta già bagnata
senza cenare, cosicché io mi bevo un buon passito! Devo
dire alquanto basito dalla mancanza d’ospitalità di chi la
sua cena non vuol fare in un comune fraterno desinare.

Ognuno fa per conto suo, come quando mio fratello bello,
ma minore in suo sol’ apparente spessore, m’invitò ad andare
a trovarlo per poi restar solo a bosco di sua casa tagliare,
senza insieme poter cenare e nemmeno con sua incensata
consorte e fino alla (civil) morte di tutti noi apparenti parenti. 
Né mai più m’è stato dato d’incontrare quell’essere singolare
per sua volontà di rifiutare ogni biofratellanza e così sia.

Marco Maria Eller Vainicher
(maggio 2009)