L'ALMA LATINA A TAGLIACOZZO (Il 25 agosto 2002)

Mi prende una nostalgia dolcissima nell'armonia di melodia, oltre il tempo di sempre e di mai: penso alla mia amata ora forse perduta e la voce di morbidissima vibrazione mi sopisce in cuore quel grande amore. Sono come con lei nel tanto innamorante tremulo dei mandolini: che stupenda intonazione! (Vedi Napoli e poi muori). Quanto è insuperato questo detto: dal ‘200 si manifesta in una musica universale… Ora c'è la Tarantella del “Michelamà”, dopo l’assoluto di “Io te vurria basà”, che è poi il desiderio senza fine d'amore e d'affetto che sempre ricorre in cuore. L'argomento magico della tarantata, che si riaccoppia nel salterello del ritornello, permanente ritorno d'amore secondo frenesia avita, si esprime necessariamente per coppie daanzanti.
Dal ‘500 esce la ‘calascionata’ con “Finestra vascia”, cioè finestra bassa: storia d'amore non corrisposto. L’impasto musicale fondante è del contrabbasso, che tutto sostiene e armonizza verso chitarra e mandolini, animanti il ritmo armonico e melodico in un pizzicato arpeggiato. È l’emozione di un’evocazione che mi rende partecipe e mi riporta alle mie pene d'amor svanenti nel momento di bellezza evanescente e poi rigenerante, non appena l'accordo si fa più struggente. La cantante è straordinariamente intonata e melismatica: in “Cicerenella” con i cimbaletti e la bifora che le fa da sfondo insieme agli affreschi e agli archi romanico-gotici, suona in percussione d'antico madrigale risuonante e percuotente. L'acustica è particolarmente efficace in questo chiostro di San Francesco: “Se io fossi un uccellino canterei alla tua finestra, se fossi una rosa ti renderei ancora più bella, ma so che qualunque cosa io mi sforzi di fare tu non mi vuoi bene.” “Tesoro ma tu m’ami, io mi chiedo? Come puoi temere, come puoi titubare, come puoi dubitare?” Ed è l'amata per antonomasia cui rivolgersi in tanto struggente languore.Intanto io sono un po' stanco e affranto da tanto isolamento, perchè diviso dalla mia amata… “Mi voglio fare una casa” o “canzone marinara”: ora arriverà lei, cioè il sole, la luce del proprio amore. Trallala-lalala-lala: che spensieratezza, che gioco ‘melarmonico’ in questa lieve ‘canzona’ di mare e d’amore. “È spingule francese” nella versione di Morricone, dopo mille riorchestrazioni e rimaneggiamenti in quattro secoli (dal ‘500 a fine ‘800 con Salvatore di Giacomo a far da paroliere). Qui è la versione puramente musicale e un po’ tremula di ritmo giocoso. Ora inizia lo sfruttamento commerciale: fin dal 1839, “Te voglio bene assaje” con vendita degli spartiti o “copielle”, nell'arco di due anni ne furono vendute 180.000 copie, la metà degli abitanti della Napoli d’allora. “E tu non pensi a me?” Chissà, già mi chiedo se la durezza del distacco può essere compensata dal canto: ci sono sentimenti veri in ballo e il gioco delle note può compensare il tutto? Purtroppo sembra di no… L'accoppiata D’Annunzio-Tosti crea “A Vucchella” ed anche un prodotto, che sembra puramente estetico, può diventare una fonte d’emozioni: la piccola amata, la piccirilla, che sembra poi la mia piccirilla e quella di tutti, diviene anch’ella, la Vucchella, l'eterna amata un po' brillarella che ti da il “friccico” nel cuore: tuo malgrado ti commuovi nella delicatezza dell’espressione. Che piccole romanze, che musiche di tutte le classi, di tutte le epoche, come la Tarantella di Piedigrotta, eternamente attuale, quasi poliversale commedia dell'arte italiana, senza “dramatis personae” ma con drammaticissima tenzone fra strumenti a pizzico e a percussione. C’è un'ossessione in crescendo e a tratti in diminuendo, ma sempre in ritmando con un musicando donato applaudendo e chissà che cosa godendo?
Ora siamo alla la seconda parte, la più contemporanea: eccoci a Reginella, la mia bella, la “ducella”, la nuova sirenella che lega idealmente Napoli a Copenaghen e poi così possiamo immaginarci, dalle cerase o ciliegie del più bel golfo mediterraneo, allo scoglio più romantico del gran porto danese. Uniamo nella vasta fantasia due poli d’amore e ci riuniamo a tutti gl’innamorati di vero cuore! Così l’amor di maggio “era di maggio” e con tanta vigoria canta l’oramai mia Maria Ausilia D’Antona, perciò non posso trattenere una sublime emozione che mi riempie di lacrime (come l’acquaiolo di Fenesta Vascia) ed il cuore sente la vita che fluisce e forse sparisce “chi vuol esser lieto sia di doman non v’è certezza!” Come può un bardo, nato a via Lorenzo il Magnifico di Firenze, quel Magnifico che la camerata dei Bardi istituì, rinunciare a ricordare la correttezza dello scegliere e vivere l’attimo senza risparmio. Il carnasciale non è superficiale volontà di svago, è riflessione sul senso della vita e tentativo di ricerca di significato sull’umore e la formazione della gioia rispetto al dolore…
La cantante ci racconta la storia del mandolino ed ecco una elaborazione strumentale del maestro Anedda di Marechiaro, a cui si riferisce anche lo sgargiante blu elettrico con fasce d’argento della “toilette” di orante-musicista-mandolinista, oltreché la ondivaga e tremolante-autoriflettente-tissutante in tanta superficie vibrante di sovranità marina: forse è gran-bella la sua vestina da divina?!
Elvira Donnarumma viene ricordata per la forza delle sue interpretazioni con “Chiove” o piove, che racconta il suo pigolar di canarino, una volta ritiratasi in sul farsi del mezzo secolo per motivi di salute. “Tu si la canaria” la fa rivivere, la resuscita creando un flusso autentico d’energie vitali che si iterano in cadenze antichissime e incantate in una dimensione panica, divinamente naturale. Quale perfetta intonazione, quale talento qui si esprime in un timbro inimitabile perché d’emozione unica all’ascolto, quasi creatoriale.         

 

GIOVANNI ERMETE GAETA: E.A. MARIO

Ecco “Canzona appassionata”, come quel giardiniere che ha coltivato il suo amore tale e quale a una piantina, poi un ventaccio gliel’ha portata via: E. A. Mario o Marco Maria ne fu l’autore? Che disperata disdetta, che sofferente maretta in questa scansione così forte del volersi bene, nella voce straordinaria della super conoscente cantante. Addio Santa Lucia, mamma mia: i naviganti van via, Santa Lucia, come per gli anarchici da Lugano mia, son gli emigranti che devono partire per cercar fortuna ed arriveranno ad Ellys Island dove li terranno in quarantena, in quella di medesimo napoletan parallelo New York ingrata, che poi dovrà anch’ella esser ferita dalla strapotenza del capitale distruttivo e dislocativo, con l’apparenza d’un’arabata tutta inventata in feudale guerra di religioni. Per l’appunto viene creato un nuovo Paradiso su imitazione della Divina Commedia che E. A. Mario espungerà per farla musicare come una quasi-Tarantella, pressoché celestiale e soprattutto ironica e scanzonata, mai di guerra rigenerata, semmai sfatata. Napoli è quasi più bella del Paradiso, figuriamoci se in uno stato di guerra fra religioni! Che orrore pensare di fare la guerra a un prospero fantoccio, uomo di Washington! Eppure anche Napoli è stata oggi coinvolta nel discorso di potere dei G.8: nulla sfugge all’inferno attuale, che depressione reale! Per fortuna c’è “Na Sera ‘e Maggio” per consolarci da tanta idiotica prova di forza e la delicatezza di un incontro d’amore ci conquista il cuore in barba ad ogni campagna guerrafondaia, magari per conquistare pezzi di deserto irakeno o qualche altro obiettivo osceno fatto di guerre chirurgiche, di affamamento e assassinio di bimbi, di terrore diffuso, di vittime innocenti verso gli sporchi contendenti. È sublime la ritmata un po’ strascicata di quella “Sera ‘e Maggio” e ci rapisce nell’oriental melisma di sapienza antica e di lamento moderno. 
Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato: “Simmo ‘e Napule, paisà” in versione strumentale ci dà la dimensione sempre allegramente dolente di una città offesa dalla camorra e dalla violenza di sfruttamento e speculazione non solo edilizia, con l’arte d’arrangiarsi a farla da padrona e New York, la sua gemella e di latitudine sorella che, oramai sfregiata anch’ella, si riavvicina con l’Harlem di Manhattan, il Bronx, Brooklyn e Queens alla Napoli generatrice originaria. Ora tutti nel pubblico partecipano prima con le mani e poi in voce: è festa per la nuova funicolare e “Iamme, iamme, funiculì, funiculà” sembra una romanza popolare da piazza invece che da camera. C'è molto calore in giro e i bis si sprecano, “Ohi vita, ohi vita mia. Ohi core, ohi questo core.” Tu sì o’ primmo ammore! [(Ale, sì tu sì vita mia)] “Io penso solamente a te” “Ohi vita, ohi vita mia. Ohi core, ohi questo core.”
Quanti applausi, quanto entusiasmo per questi inni alla vita, mentre Salvatore Gambardella con “Oh Marinarella” conclude nel suo fischio ad orecchio la serie dei compositori di strada (quale io oggi mi sento) che nulla sanno di musica scritta, eppure divengono i massimi “refrains” in cuore e orecchi di tanta gente che canta senza inibizione, com’è giusto che sia per musica crear e sentir in grand’affettiva memoria.

Marco Maria Eller Vainicher (detto Phillips)