RITA CECILIA O CECILIA RITA?    
(La Musica dell’Impossibile)

L’apoteosi o l’incipit?  Io mi chiedo
da dove cominciare in questo mio narrare,
dal profilo di streghina fatante con gli occhietti
in guardo assassinante o dal primo richiamo
d’impianto superfemminilizzato mentre in tenuta
da gran cavallerizza, jeansata e superstivalata
si porta a leggere di Julia le lodi d’amore tessute
da Balint Balassi, celebrate in un italiano dalla
tenera pronuncia in auliche parole un po’ stentate,
lei ungara atto-recitatrice e d’incanti fattrice?

Son là per evocare la mia omonima magiar’amica
granmusica, in quel giallo salonetto che col suo
antico parquet e le luci troppo moderne sembra
proprio una perfetta camera da letto, con discorsi
un po’soporosi perché ampollosi e noiosi e retorici
e di petrarchismo fin quasi troppo infarciti e bolliti.

Ma quando Rita, qual mia sorella nomata, inizia la
sua improbabile stilnovistica cantata mi rapisce in
lettura la modernità di Balint cultura, così ben
esposta dal traduttore e filologo di quel gran poeta
che sembra d’ottocento invece che di cinquecento
per la freschezza di suo pensiero gaio su di un soggetto
eterno qual’è la sua amata Julia dal fare così materno.

E colei che poi saprei esser anche Cecilia di musica
patrona sovrana si sforza, la gran bellezza arcana,
di dire in italiano il suo super poeta dell’allora
ungara Bratislava; e ciò nel proprio sopraffino
personalino, ben affilato e slanciato come il suo
nasino su quell’ovale divinizzato dai più folti e in
gran messe spessi riccioli, superbamente avvolgenti
e fascianti in boccoli ramati un volto che vorrei meglio
distinguere e ricongiungere alle massime bellezze
da me incontrate e ammirate.

La Signora allora giocherà coi miei ambivalenti
complimenti alla sua sublime bellezza verso
la limitatezza del suo italico dire da grandungara
che recita in sua nonlingua materna con disdoro
del filologo e del dilettante musicologo.

E sarà un dialogo di sottili ammiccamenti
nell’intreccio fra arte amatoria, poesia e bellezza
che gran dolcezza darà al mio “esprit de finesse”
con il gran piacere di continui rimandi allusori
e forse, ahimè illusori, alle più belle intese amatorie.

Lo stupefacente sarà che quegli stessi versi qui           
appena riportati, nell’arco di non molte settimane
verranno prim’offerti e poi richiesti in abbondanza
da colei cui sono stati spassionatamente dedicati,
senza che la medesima potesse ricordare la fonte
misteriosa di tale affettuoso omaggio gentile,
e verranno forse stasera stessa consegnati…

Marco Maria Eller Vainicher
(15/XI/2004 – 3/II/2005)