“OCCHI DI CIELO”

Trafelato solo un tantino
m’avvicino, pieno di cose
appena acquistate per alimentarmi,
alla valente medichessa che tuttavia
è impegnata, sebbene si sia con me
dichiarata più che disponibile per le
una. Cerco di sapere se potrò presto
con lei conferire perché qualcuno
a casa m’attende e una meraviglia di
fanciulla signora s’offre alla buonora
di cedermi il passo per gratuito lasso.

È oltremodo avvenente la bella figura
dal capello corvino fluente in tanti
boccoli scuri, che le incorniciano uno
sguardo in occhi trasparenti di cielo
limpido ed ha un personalino da
risvegliare altro che un bambino.
Ma non è solo per la sua fisica attraenza
di fata dalla beltà baciata, bensì per
la dolcissima umana comprensione che
subito mi colpisce quella arcibella creatura,
che subito scoprirò insegnare alle piccole
creature forse meno fortunate: i bimbi né
udenti né parlanti, dunque d’affetto tanto
più richiedenti.

Meri porta il nome di quella mia impegnata
prima allieva dei tempi d’università fiorentina
e sembra avere una personalità dolce-decisa,
come sempre le vere femmine di gran carattere
dotate. Io sento che è a contatto con chi soffre,
e non poco, e questo le dà uno charme di vita
vissuta senza essere una saputa, ma di gran
rispetto e accoglienza e di grand’umana
ricchezza mai sazia. Ciò mi permette di
entrare con lei subito in vera confidenza e di
chiederle se ha bambini, insomma di
preoccuparmi della sua sfera affettiva,
notando la mia predisposizione a scriver
di favole e poesia, citando quella ‘lupa
cavallina’ che vorrei ancora saper scrivere
per generare altra storia fiabesca e non
manesca, come tante stupide fiction di
televisiva somministrazione.

È proprio interessante la sua corresponsione,
quando espone le carenze genitoriali che
privano nei bimbi la crescita delle figure naturali.
Già Meri m’ha fatto subito riflettere senza
dismettere i miei principi di socializzazione
che, se mal interpretati, possono portare a
solitudine e disperazione per l’assenza del
naturale ruolo genitoriale. Vorrei con lei
poter iniziare un qualche discorso da
avvalorare con comunicazione non banale,
ma d’arte pregna, per allietare con i bimbi
“diversamente abili” noi esseri che crediamo
d’esser normodotati e siamo sovente
dimidiati, per non riconoscere
l’incommensurabile valore degli affetti
in simbiosi a noi con la vita donati.

Marco Maria Eller Vainicher
(16 luglio 2008)