MARIA SOLE

Quale finezza d’intenti, quale sapienza di menti
mamma e figlia in gioioso incontro fra esseri
coscienti e consenzienti.

È un ristoro per la mia anima ferita e ammutolita
poterci riconoscere all’edicola di Santa Maria
(alle Fornaci). Tu Maria Sole, tu un fiore da Mirta
piantato e infinitamente d’amore educato “et arrosé”
quasi per tre, chè la tua pronuncia, o figlia del sole
trovata in questa di Pasqua vigilia acchè tu m’irradiassi
quella luce che oggi grigia di nuvole non è visibile,
se non in te riconoscibile. Tua pronuncia è quasi nordica,
chi direbbe emiliana, chi marchigiana, qual Francesca da
Rimini che a Gradara, nel castello di tal confine conobbe
il suo sfortunato amore e Dante l’immortalò preferendolo
forse a quello di Beatrice di ogni convenzione generatrice.

Evviva Mari Sol fin da Cambridge conosciuta e attraverso
le generazioni riconosciuta: sei una delizia di bambina
mia gran piccina. Donna fatta ventitreenne ma non sposata
che forse m’aspetta senza alcuna fretta, quasi addormentata.

Sei dolce Maria Sole, sei profonda d’intelligenza rotonda
e tuo sguardo confessa qual sia tua fibra interiore
in tanta attenzione senza risparmio a tuo interlocutore
precario perché oramai più che semicentenario.

Hai gentilezza di modi e d’animo nella tua accortezza
di saggezza: c’è una singolare traccia sottilissima di
tristezza pur con cotanta famiglia in certa sicurezza,
ch’io avrei voluto e sempre m’è mancata con infanzia
troppo accorciata e perciò ammalata.

Tua compenetrazione di pensiero è oltremodo alta, se
guardandomi negli occhi ti chiedi s’io non sia colui che
più gli altri allontana da sé, non perché quelli non lo
capiscono, ma perché lo temono: non è forse ciò che desidero?
Sarebbe lo stare solo, il cerimoniare, il celiare per rifiutare,
respingere ogni approccio familiare coll’inconscio timore di
perderlo: non vivere per paura di morire.

Maria Sole è ben attenta e affettuosa e dopo averle un po' narrato
di mia vita in pensiero assorto ed accorto di verità e sincerità, la
bacerò sulla ‘guanza’ qual ragazza senza fidanza, mentre la mano
alla mamma sarà giustamente baciata.

Gagliarda di nome e di fatto raccoglierà in libertà tutta mia
testimonianza di illimitato bisogno d’affetto, ma non mi
vittimizzerà né compatirà, semmai a me s’affiderà per dare
e ricevere in gran reciprocità sentimenti partorienti
creatività e affettività. Qual meraviglia m’ha già
donato il tuo lieve sorriso preoccupato, quanto ho
sentito fluire formidabili energie sottili, mentre
non hai voluto imitarmi, invitandomi a tua pubblica
seduta per la discussione di tua tesi di laurea cui forse
vorrei per mio puro piacere assistere e se mi girerà di
sicuro ci assisterò. Devo dire che non ho mai sentito
tanta elettiva affinità, tuttavia semmai si può dire?
Spetta a noi con gli altri il gradire reciproca scambievole
conversazione amorevole.

T’ho vista qual giovane donna assorta e accorta che
mia corte potrebbe accettare se io saprò agire per non
farti troppo invano aspettare, mia dolce Maria Sole.

Marco Maria Eller Vainicher
(26 marzo 2005, le tre del pomeriggio)