LA SORPRESA DI O(H...)LIVIA

Come non accorgersi di quel sole
di bimba morbida biondo platino
nell' ambiente quasi sotterraneo,
con le volte a botte di cotto quasi
toscano, della palestrina bagnata
da minuscola piscina ove la mia
disavventura m' ha condotto a
dirotto per l'accidente ciclostradale
d'oramai sette settimane fa?

Fra tanti attrezzi e marchingegni
dai disegni concepiti per riabilitare
traumatizzati e segnati vari, tutti
intenti a far movimenti muscolari,
vuoi a terra e in aria vuoi in acqua,
con l'idrokinesi pei più stesi, voilà
comparire in un quasi buio mattino
novembrino la folgorante sua silhouette
avvenente, a me apparente come tutta di
bianco abbigliata e dalle mosse sì
femminee perfette e interamente
concentrata su sua ginnastica super
terapeutizzata.

Un mio sguardo felicemente meravigliato,
poi il tentativo di comunicare, che per me
è sempre amare, senza da lei ricevere
alcuna ben che minima attenzione o
senso di propria esistenza in sua presenza.

Eppure quella creatura stupenda m'appare
in avvenenza connaturata alla sua
figura di fata bionda e certo scafata.
La vorrei per me esistente, ma lei riesce
ad esser perfettamente indifferente, ogni
qual volta l'avvolgo con mio sguardo di
maschiotto attempatotto, che forse in lei
propria figlia vorrebbe poter riavvicinare
e, trasecolando, riabbracciare e baciare.

Ha l'aria semplice e dolce, la bimba
nel fiore dei suoi anni, ed è sì assorta
nel proprio compito di quasi risorta da non
so quale accidente che, come dea azzoppata,
l'immagino dimidiata nell'umandivina sua
natura di gran misteriosità in luce arcana.

Tuttavia mai mi sembra scostante sua
pazienza silvana verso tanta generale
attenzione, dei suoi vicini anche un poco
cretini, per quelle grazie che lei offre senza
intenzione, e son la buona beltà della
natural creazione che per sua forza
intrinseca non può che causar reazione
d'attrazione.

Così un bel mattino, dallo specchietto d'acqua
della mal concepita vasca di riabilitazione,
giovine e aitante gran guardone le si rivolge
gesticolante attraverso un vetro, mentre lei
pratica la cyclette, quasi fosse una majorette
in parata newyorkese Columbus ‘dayana’.
Vedo la sua garbata pedalata in gran
sopportazione rassegnata, quasi che
sua aura fatata le imponesse quella
“nonchalance” da musa super adusa
all’ammirazione dell'inclito e del volgo.

È il sentimento di possesso, riveniente
da quella chimica sostanza detta ossitocina,
che sua vista subito induce e così produce
in chiunque di lei s'accorga e così scorga
la possibilità d'amore, gioco e felicità.

Quanta autorepressione, quanta vergognosa
paura d'intrusione, quanta sottile autodelusione
può simil creatura provocare nel, benchè
solare, poeta che vorrebbe non solo guardarla
per rimmaginarla, ma rubarle un minimo
d'attenzione per poi celebrarla senza mai
osare disturbarla!

Niente da fare: la fanciulla di te non s'accorge!

Ed ecco che, in un tardo meriggio, fier’e forte
terapista Rossella, colla quale subito litigai
per poi a lei confidarmi senza guai, mi scorta
a mio appartato sgabuzzino, ove c'è durissimo
metallico lettino e, senza volere, m'obbliga a
di lei parlare senza proprio farci notare.

Rossella è chiara e trasparente, alla disciplina
più sopraffina educata, perché di corpo e d' anima
complessata e superimposta, dunque sempre ben
disposta agli altri valutare con animo sgombro
dal vezzo del pettegolezzo. Certo ha l'aria
sbarazzina di chi si schermisce per farsi
complimentare senza parere e sa usare ogni
arte femminile per tanto farsi apprezzare.

Dalla gran bella musa, troppo agli sguardi adusa in
sua astratta distrazione mai fratta da indiscrezione,
non c'è invece, in mia sconsolata impressione,
da mai aspettarsi veruna attenzione, né piacevole
conversazione in gran menzione?

Tanto più grande è l'inattesa sorpresa, quando la
sì bella virgulta, con semplice fare di ragazza,
che ben sa farsi amare più che desiderare, a me
si rivolge interrogativa per chiedermi, papale
papale, qual sia stato l'accidente che a lei mi
accomuna nella rottura del piatto tibiale!

Ed ella è fatale, nel suo quasi ovvio e certo naturale
aprirsi al nostro conversare che mi spiazza e mi
meraviglia, ma non poi tanto perché sa subito
mettermi a mio agio; tanto che alla conoscenza di
suo special nome reagirò nel modo più frustro
e banale, richiamando il solito Popey o Braccio
di Ferro all' Olivia sua temibil brutta compagna,
che la povera, per me Oh? Livia, ha dovuto sin
da piccola sentir a sé accomunata, qual tanto arci
noiosa lagnata mal proporzionata.

La Livia di Oh...Livia (Drusilla?) è invece associabile
a quell'anticoromana Villa dagli stupendi affreschi
dei celebrati giardini, che tutte le stagioni insieme
raffigurano, e che io tanto ho pensato e progettato di
poter con mia 'performance' rappresentare, qual poeta
con 'danseuse' o ballerina, in quella sala di Palazzo
Massimo ove son ricostruiti e, così, ben custoditi.

Olivia, Oh Livia, mia sì generosa Musa, il poeta hai saputo
premiare per essersi trattenuto dentro suo meschin maschio
desiderio di aver con te per primo parlato e tuo primo
verbo, così semplice e spontaneo, hai a lui donato, tanto
da averlo spinto e provocato per fresca e a te ded(l)icata
sua composizione scrivere e così sua arte di vita
ancora voler amare e riuscire ad esprimere.  E tanto
nuova poesia saper creare per eternare tua, sebben
fisicamente transeunte ma sì splendente, aurea bellezza
che, persino al di là di tue parole, sempre ci saprà emozionare e allietare, per permetterci di “sans
cesse” saper evocare in buon ricordo senza limitare!

Marco Maria Eller Vainicher
(28/XI/2009)