LA (AF)FINE CAROLINA, SÌ BELLINA!

(Una piccola cronaca poetica)

Sì, la luce è tornata nel cielo
di Roma dopo tanto intenso
piover forte ed il sole trionfa
come non mai in quel d’Albione,
che ‘perfida’ mi ghermì per troppi dì.

Qui è solo di pochi dì lo sprofondarsi
negli inferi di maltempo, che è brutto
tempo, e subito lo splendore del sole
si ridesta nel nitore dell’aria che
fresca ci avvolge gaia.

Di prima mattina chiamo in risposta a
una nitida e lieve vocina, che gentile
m’invita a tentare di partecipare a
concerto di musica medievale in quel
di palazzo che da Venezia suo nome trae:
ma è di gran fiorentin modello rinascimentale,
anche se, oltre che papi e cardinali, più
di recente il fascista potere ha dovuto
ospitare nella morte del sapere, ora a suo
lato in piccola scala riprodotto da abilissimo e
furbissimo pseudovate d’Italia vero filibustiere.

Per via plebiscitaria giungo ove per sette anni
di mio alloggio mensil mercede a gran museologo
dovetti consegnare e nel vestibolo del palazzo
trovo un nugolo di anziane signore attornianti un
tavolino con giovin ed elegante signora bionda
che, gentile, le querulanti tranquilla seda.
Come unico masculo addottorato ben vengo
servito ed immantinente ad altra fila spedito.

Nella sala regia riceverò l’aiuto della radiofonica
regista e troverò posto accanto alla mamma del
liutista, nonostante sgradevole qui pro quo di
arcigna ‘furbigna’ che mal m’apostroferà per quella
sedia da lei pretesa, asserendo di conoscere il mio
cattivo carattere e così non poco irritandomi,
io ‘collerico logorroico’ (perché vulnerabile,
alquanto ipersensibile).

Il concerto compenserà ogni e qualsivoglia
contrarietà e apprensione per l’estrema godibilità
dei brani arabo-ebraici e occitani, con canti e
strumenti musicali sì ben riproposti ed interpretati,
da rimanere per sempre in memoria di cuore.

M’attarderò poi per fisica ragione e nella superfiorentina
sala Altoviti, lì con tanta eleganza ricostruita, rincontrerò
l’arcigentil fanciulla-signora bionda, dal così bell’aspetto
svevo e con tanto misurato quanto accogliente fare, che suo
nome di Carolina pronuncerà, avendo io conosciuto solo
il suo vegliante cognome.

Ed ora, nell’ammirare il colore chiaro violetto di una deliziosa
piantina di fiori subito a me di rimpetto sul terrazzo ove scrivo
nel sole del tardo meriggio, si risveglia in me il ricordo dorato,
come lo splendido cassone a gigli fiorentini insieme a lei
esaminato, di diafana Carolina in sì bella circostanza rincontrata.

Colpito dal suo sguardo d’azzurr’occhi arcichiari forse più di
greco mare e dal suo inatteso invito a visita da lei guidata, subito
aderirò a tanta bella presenza in intelligenza e vera emozione
saprò testimoniarle da musicopoeta che riconosce le carole
di canto danzato nel suo tenero diminutivo nome antico.

Potrò così nel dì seguente recarmi ad ammirare (seppur
troppo di sfuggita!) i bei capolavori da lei prescelti fra i
tanti varianti che il quasi misconosciuto museo del palazzo
formano. E sarà un mattino di gioia nell’arte, di poi musicale,
grazie alla grand’ umile competenza della mia Musa che,
con vivezza e leggerezza, ci farà riconoscere la bellezza
delle opere e di sua persona così cònsona, come il concerto
in “Istoria di Purim” che tante gioiose primigenie evocazioni
suscita per noi d’Occidente in Vicino Oriente.

Una settimana trascorsa, ho rivisto la dolce Carolina
distratta dai suoi impegni d’accoglienza e subito le
sue iridi turchesi, benché a me fuggevolmente rivolte,
m’hanno magneticamente attratto lo sguardo
come questo mare tardo settembrino e pomeridiano
(davanti al quale evoco e invoco siffatta bella visione)
che sulla sabbia dorata distende le sue ondine di bianca
spuma mentre il cielo, tuttavia dal sole azzurrato,
si fa piovorno di gran nubi rigonfie in chiaroscuro.

Quelle sagome montuose, sospese, raggiungono quasi
il massiccio del Circeo mentre sull’orizzonte, a collana,
compaiono azzurrine le Pontine come tante sorelline.
È una musica a programma questa del mare nutrito dal
vento che mi raffresca, mentre il baluginio del sole si
disegna a triangolo su sua superficie, arrivando da larga
base in orizzonte alla convergenza nel punto in cui scrivo,
appollaiato sulla carena morbida d’una barchetta bianca,
in arenile abbandonata capovolta, quasi fosse sua traccia
a me in metafora rivolta per a suo pensiero ricondurmi.

Carolina è di gran discrezione in sua evidente educazione,
ma è singolare ch’io l’abbia senza volere rincontrata sul
finire d’un concerto barocco in flauto dolce, quasi per
poterla ringraziare di tutte le bellezze che m’ha fatto
appena assaporare (con lei per prima).
E così se qui la bionda sabbia mi ricorda i suoi setosi
capelli, il mare ha ora il colore dei suoi occhi mentre in
un vano di pietra d’una delle grandi finestre della sala
regia ci siamo ritrovati sorridendoci in silenzio per
ascoltare il bel bis dei musicisti filologi.

Improvvisamente delle gocce mi dicono che piove, che
è iniziato a piovere su questa fresca poesia in creazione,
quasi fossi benedetto con una spruzzatina dal sì bel
pensiero di Carolina!
Fra il brontolio dei tuoni ecco un arcobaleno che
intenso si proietta nei suoi infiniti colori contro
l’indaco profondo di gran nuvoloni e nella sua
evanescenza produce quella iridescenza che anche
una sconfinata bolla di sapone affettiva potrebbe per
me, verso la sì tenera Carolina, simboleggiar?

Marco Maria Eller Vainicher
(Dal 20 settembre 2008)