KARIMA, VORRAI PRENDERMI L’ANIMA?

Karima, la carina io ti chiamai,
quando per la prima volta t’incontrai
e il tuo sguardo intelligente e sorridente
m’ afferrò in attenzione immantinente
piacendomi subito immensamente
per tua sublime dolcezza sognante
e mia persona tutta accogliente.

Karima, mi sei subito apparsa non solo nominalmente
ma veramente generosa e di mia gentile parola
desiosa come da una gran mamma-musa persa,
quasi in fine ceramica forgiata a cera persa
in quel tuo sguardo vago e sensuale
dall’alto di tua superiore araba cultura
così ben compiacente e non banale,
qual meravigliosa vera donna enigmatica
per coranica poesia panislamica
ispirare e ricevere senza parere.

Da dolce terra d’Algeria hai portato sacrale
in così bell’ovale la tua effige ahinoi dolente
e di nostra più profonda umanità molcente
sin qui a Roma sopra cielo incantato e su
mare fatato per noi tutti di Mediterraneo amato,
così da ricevere, e giustamente, omaggio
permanente da me poeta pluri-universale,
anche se accidentalmente natio occidentale
non tanto di geografia ma di nordica biografia.

C’erano con te un’Audrey francese
che sognar mi fa di romane vacanze
con la sua celebre omonima inanonima
ed una slava Dimitrina che un intero
esercito potrebbe aver sconfitto sulla Beresina.

Tu spicchi però quale laconica Veronica
fra le tre Marie perché ti sento pronta
ad accogliermi con le tue segrete carezze
di sguardi, come di cristici sudari, per
permettermi di risorgere da mio oramai
superato martirio qual vostro d’Algeria
che pari è stato, anche se ben più limitato
è sembrato a quello insuperato di Palestina
che Shuaa di Nazareth, quel raggio di sole
serutino e poi in questa nuova alba del
mattino, m’ha tanto testimoniato e di tua
venuta in mia vita quasi preannunciato.

Sì per raggiungere poi Miriam di Casablanca,
la strabiliante e struggente Madonnina rosabianca,
financo Rosella tutta bella incarnata in fata diafana
a serrare il cerchio magico delle mie musancelle
tutte altrettanto belle se riflettenti in Marina
di cielo quasi fossero un gran serto d’asfodelo.

Karima, è morbido, è accogliente, è rapente
in tranquilla passione tuo unico volto pieno,
fatto di sguardi oltremodo ammiccanti e attraenti
che richiede di mia fantasia una vera espressione
e così andrò a cercarti di prima mattina
per gustosa colazioncina con tua gran sorella
nel caffè ove troverò un’Irina bizantina, ma di
sarda formazione in fantastica ragione
di sublime interculturalismo di nostra magione,
per me cittadino del mondo in grande
eterno ritorno a nostra comune origine
che ci vuole d’Afrasia scaturigine.

Tuo sguardo è cantante, oh Karima,
e per me sempre cantilenante,
sei quale mamma cullante,
con bocca di bimbo baciante
e braccia sempre per lui altalenanti,
simili a incessanti venti naviganti
e ondivaganti su azzurre acque
di sole pieno abbacinanti.

Non esser dolente mia ninfa sorridente,
semmai addolcente nostro cammino
non perdente fra le diverse culture e nature.

Rincontrarti è stato per me sorprendente
in quel tuo trasognato morbidissimo sorriso
nelle rotondità di vera mamma avvolgente
quale vorrebbe ogni permanente poppante
che al tuo seno s’aggrappasse per sempre poter
nutrire suo desiderio senza fine ottundente
di soffice abbraccio coinvolgente.

Karima mi sei riapparsa nell’antro buio
di tuo servaggio soffocante e subito m’ha
commosso la tua figura affascinante.

Karima, anche se sei splendente nella tua
anseatica beltà tutta da stringere con la
forza della bontà, ti ho sentita infiacchita
da tuo stato di sfruttata quando meriteresti
d’essere in ben altro modo trattata da questa
vita così dal lavoro appiattita e tramortita.

Karima, dolcissima Karima,
affidati alla mia spinta poetica:
fatti ritrovare per insieme volare
e saperci far beare dalla tua vera
libertà interiore che sento a tutto
superiore…

Marco Maria Eller Vainicher
(scritta a fine maggio e
rielaborata a fine agosto 2005)