ISABELLA

    (La più, almeno mentalmente, bella)

Quante battute sull’arte, quante da parte tua
invenzioni e osservazioni sulle figurazioni
che il nostro Piero ci regala, parlando a man
bassa di grandi poeti e filosofi e d’arte creatori.

Siamo sui banchi di Villa Mirafiori, siam due
studenti permanenti e tu gareggi in spunti
geniali e pitturali, pronta e ficcante ché subito
ti noterò sacripante per la tua fresca e fiera
intraprendenza di gran puledra indomita,
dal pensiero cavalcata, Isabella singolare
dallo sguardo particolare e dallo stacco di
leve così coeve ad immagine di bellezza
e fisica e mentale, che mia idea di Saffo possiede.

Sei puntuta e cocciuta, ma anche di gran dolcezza
dotata in quel tuo fare pronto e veloce, come quando
le schede riempirai e raccoglierai da harvardiana
discente e cosciente valutazione dei cogenti docenti
in gran tenzone.

E così, un dì che il posto accanto sul primo banco
mi lascerai, chissà se per puro caso o inconscia
distrazione, dopo aver mio sito poetico visitato,
letto e consultato, potrò ammirare, dopo grandi
vegetali essenze da finestra che le incornicia, il
primo dì di primavera, tua quintessenza personale
ché mai così prossimo t’ero stato e beato.

Tuo gran stacco di gambe per primo noterò in
blue jeans fascianti e di tue forme pregnanti,
poi la capigliatura m’affascinerà in quella
cangianza di piene luci da gran fermaglio
raccolte in lunghi filari mossi a serpentello
di tizianesco profondo colore ambrato che
amor sacro, perché senza orpelli di vestimenta
qual femminea immagine pura seppe rappresentare e
per noi tutti pitturare (e prima disegnare o designare).

È la musicalità della meravigliosa lettura del più
gran chiosatore di Francesco Petrarca il professore
che m’accompagnerà nell’alimentare tanto disio
di vita rigenerare, grazie al frequentare la mia
amata letteratura preferita che da mia madre mi
fu impedita perché, nonostante lo scrittore volessi
già fare a quindici anni e con le idee ben chiare,
lei da ragioniere mi volle obbligare a studiare:
secondo quella gran conformista mentalità, ché
m’avrebbe dato più sbocchi per lavorare e i soldi
subito guadagnare.

Così orrore, ver’orrore di sofferente furore
fui costretto a vivere per ragioneria dover
studiare, tant’odiata che il trenta poi rifiutai
all’Università in esame troppo ben felicitato,
ma da me orripilato e disdegnato perché
matematica sempr’amai e conti sempr’odiai,
anche se ben far li ‘saprai’, ahi, ahi!

Or mi sembra di meravigliosamente ricominciare
e con te Isabella quasi regina di Castiglia, posso
partire per viaggio di Colon Cristobal immaginario
a ritrovar per via d’occidente le Indie d’oriente,
nuovo indiano metropolitano nella sfericità di
questa globalizzazione che la mia dolce Naomi
(Klein) con sua mente potente ha così ben colto.

Sempre ricominciare, questo è l’ovvio segreto
del rivoluzionario che l’arco di cerchio completo
sa sempre compiere, mentre il reazionario sempre
a metà si ferma tornando indietro rispetto all’
utopiario che solo avanti sa andar…

Avant’ indrè che bel divertimento…
Evviva gli indiani d’America nativi e gli
americani d’indie occidentali, fors’orientali?

Marco Maria Eller Vainicher
(22 marzo 2005)

 

                           PER DIANA!

Vorrei essere molto più lieve e dolce del titolo
d’angelica Diana (ho di dianica Angela) che ho
s(e)(o)gnatamente e desiderosamente intravisto
in morbido e contorto volto, fantasticamente
emotivo e assorto quale “liseuse” di Renoir,
pittor uomo di meraviglioso, unico, francese zio
del cineasta Jean, quasi Carné Marcel o René Clair,
con loro trio musicale unico ed epocale, da « La
Grande Fuga » a « Les Enfants du Paradis » a « La
Belle et la Bête », per violoncello, viola d’amore
e violino insuperato e trino: padre, figlio e spirito
santo di fiamma d’incanto.

Mi chiedo se Diana è la stessa persona che ha
afferrato in tant’intelligenza d’amore per poesia
e arte pitturale, filosofica e astrale da Klee, a Kandisky,
a Duchamp la ‘arciformidale’ e dubito, in me
sperando coincidente mio subcosciente.
Poi, improvvisamente lei esce dall’aula e una rampa
di scale scende verso il gran giardino di Villa Mirafiori,
non sapendo io se tornar vorrà: mi sfugge l’oggetto
di mio poetico dono prono e d’ansia segretamente
vivo, mentre sviluppo ragionamento sul doppio “es”
d’Isabella ed alias suo (poi lei con Diana assente
mutatasi in Angela sublimangela...).
In tali ambasce e faccende affaccendato risalir in fin
la vedo e stravedo: la dolcissima è di nuovo fra i banchi
ispiratissima e ne vedo l’illuminato sguardo, convinto
che sua nuova luce in mistica vista sia generata da mia
poesia a lei dedicata.   

È uno specchio eccelso di mia arte, sublimarte alla
quale non occore né parte né morte, solo far di te musa
e aretusa vergin fonte d’isipirazione non intrusa né
adusa, semmai unica e inusa.
Poi scoprirò che Diana e non Isabella è la bella più bella
della mental-mente bella e che un attimo prima di
Domenichino la cacciatrice Diana (del 1630 gran quadro
germinale di barocco stile ancestrale) ho citato
telepaticamente ispirato, in esistenza universale.
Troppe coincidenze, troppe, per non significare l’eredità
assolutamente ‘innovale’ di mia creazione ‘fantasticale’,
che di Diana è il frutto non banale.
Dianangela sapienziale oggi hai superato l’umana natura
d’intelligenza emozionale per rendermi immune da
cicaleccio ‘stupidale’ degli avventori di vicina trattoria
dove per te scrivo, quasi fossi in una batteria di fattoria.
La forza del pensiero, l’innovazione di un’idea, superano
ogni disturbo di villana volgarità, e si manifestano per
propria purezza in grandezza. Esplode la primavera ed
è superba e vera: tu sei ancora con Mnemosyne in mia
mente ed io ti penso immantinente né alcuno potrà
sottrarmi tua grand’immagine, grande ispiratrice di
sommessa accortezza. Grazie da

Marco Maria Eller Vainicher
(4 aprile 2005)