IL POETA MARCO E LA BALLERINA ARIANNA

Ho penetrato il tuo sguardo subito, insieme a quello
di Serena, mia principessa in giorno di nozze, e ho
trovato un’ineffabile similitudine nella vostra fantastica,
si dolce profondità femminile, naturalmente espressa nei
modi e nei gesti, al di là dei vostri colori, così opposti
fra il suo chiaro e il tuo scuro.

In quel vostro assomigliarvi avrei poi scoperto l’identità
di genetliaco, tutti noi gemelli persi nel calice che, segreto,
invisibile, sembrava raccoglierci in quel tardo mattino di
metà aprile.

Subito ho provato gioia: indicibile gioia d’affetto spontaneo,
naturale e sovrannaturale, per voi camene di mio tempo poetico
che così mi fa vieppiù innamorare e carme generare.

Arianna splendente e Serena acconciante: tu in verità sei
ballerina danzante, oltre le tue belle fattezze, nella cosmica
vibrazione di mio animo cullato da tua affettività innata.

È stata, sì è stata una vera e propria agnizione, senza trucco
o finzione e per te subito ho gioito, mia splendida musa pensante
e sorridente, l’abbraccio di nuova vita contemperante.

Profumo e sapore di tua freschezza ho sentito forse come per
quell’Elvira che m’hai inconsciamente evocato e riportato alla mente
e al cuore. Ho potuto dirti, mia felice dolcezza, quelle espressioni
poetiche che m’erano state impedite da ex consorte super officiante
un connubio celebrato nella valle delle Camene, ove il vostro acqueo
fisso guardare faceva zampillare le ninfe delle sorgenti.

Sì Arianna eri, in quel momento di breve cammino insieme, la mia
vergine fonte di soave accoglienza ove potevo riabbeverarmi
per parlarti de “l’éternité féminine”. E ascoltavi quelle parole con
rara partecipazione: la mia sembrava una narrazione ove la traduzione
da mia lingua del cuore a mio idioma materno era fedeltà assoluta
al senso intatto delle riverberazioni nascoste che
io esprimevo e mi commuovevano, ti commuovevano.
Quanta apparente distanza fra te, giovane stupendo inno
alla floridezza di natura, ed io oramai maturissimo babbo di Serena.
Ma al di là delle nostre età, avrei poi ritrovato la conferma
dell’unicità del nostro segno astrale.

Arianna, l’impareggiabile permanenza di quell’attimo, forse sempre
impermanente perché sempre alimentante il desiderio d’esser
rinnovato, quasi m’ha ridonato una breve simbiosi di vita come
se sempre ci fossimo comunicati senza nevrosi.

Tu ragazza con le ragazze, tue amiche per conversare e ballare,
hai percepito però nella curiosità del tuo vivere questa esperienza
singolare: l’esser circondata dalle attenzioni d’un uomo così vissuto.
E che colui il quale sempre ti ricercava nel suo ironico gioco d’affetto
era estremamente serio e impegnato, per darti quell’alito
di sua arte che è forse la tua arte.

“Il poeta e la ballerina”, “Ode to Poetic Dance”, ‘questo è Marco e
questa è Arianna’, quasi la danza della camerata fiorentina.
Poi la ‘rosa ballerina’, che ho trovato nel giardino di Villa Medici,
m’è sembrata il segno definitivo del divino che vuole la nostra,
in spirito d’arte, unione.

Indimenticabile Arianna, m’hai confessato che il tuo cuore è libero,
poi m’hai svelato la tua estrema gioventù: un dolce confetto io ho
potuto suggere dalle tue mani e tu m’hai detto che amavi ascoltarmi
per il tuo puro piacere di sentire le mie parole, non per il mio ruolo
in quel momento di padre d’una sponsale che celebrava suo felice connubio.

M’hai permesso di dirti che grazie a te avevo visto per la prima volta
Serena come donna, da vera fata abbigliata e poi secolarizzata a
principessa, e che grazie alla tua entrata in mia vita potevo congedarmi
da quella figlia per conoscere una nuova generazione della mia sfera affettiva.
E dunque Arianna ho sentito che il tuo filo-guida m’aggomitolava in
un nuovo bozzolo d’affetto e che poteva svolgersi per quelle vie misteriose che
avvicinano due cuori solitari ma tanto desiderosi d’unirsi in nuova consonanza.

Sì, come un Oscar Wilde ho forse amoreggiato con te, grazie all’incanto di mia
poesia che tu hai saputo suscitare in affinità elettiva. Ti risentirò, ti rivedrò?
Per ora m’abbandono alla mia arte che tu hai saputo così afferrare e alla quale
hai voluto corrispondere, tanto da poterti anche fare una proposta
che direi professionale. Oso sentire che non mi lascerai perdere nell’abissale
chiarezza del tuo animo sconfinato: ho voluto darti tutti i segni d’affetto che
uomo appena incontrato può dare. Ma se questo episodio sarà in sé concluso
vivrà per sempre nel canto che ora sto scrivendo
e nessuno me lo potrà rubare né tu vieppiù.

Anche la visita al cinese casino dei venti, dal quale si gode la vista più esclusiva
di Roma sarà nostra, nella promessa che ci siamo fatti. Sento che,
seppur incredibile, tutto questo vissuto è vero e ci circonfonde.
Non è vero? O è troppo vero per esser vero?

Marco Maria Eller Vainicher
(16/04/07)