I MILLE E UN GIORNO

Sì, l’ho incontrata a mezzogiorno
nel suo rosa chador d’incanto
e di bimbamamma suprema
perché Madonna Miriam Maria
da Marco graziata di poesia, subito
sentita e lievemente generata, per
i suoi occhi di sublime profondità
donati, qual gioiello acqueo assoluto
col colore di mio mare subito profondo
in battigia spumosa di bianco corneo
in riflesso di fondo verde e rosso ghiaioso,
per dolce altalena a noi donare con
superiore islamico sufino amare.

Miriam t’ho promesso che a Roma ti
saprò portare alla Pietà di Michelangelo,
per a te ridonare tua storia mistica
della mamma di Gesù che quattordicenne,
come te mia vergine indenne, volle concepire
il Signore più sublime del grande
Mohammed antesignano profeta sovrano.
Quanto sei appropriata e discreta stupenda
bimba magnetica che sorriso discreto mi
sai dare e subito complimento sincero
da me accettare “sembri la Madonna!”.
È tenerissimo il tuo sobrio modo di fare
e canti e ridi con gli occhi, mentre
ti chiedo se ligure sei, tu islamica di Marocco
e di gran bel velo rosa così seducente vestita.

Quanto morbida sei che tutta io, se potessi, ti
ruberei e con tanta educazione a tuo fratello
chiedo, pensando che tuo marito fosse, se
posso per te scrivere mia vera poesia.
Scoprirò dall’attaccatura di tua capigliatura,
sulla fronte sfuggita allo chador, la
finezza scura scura di tuoi fili finissimi,
quasi lanugine di neonato superdotato.
Hai tutta la purezza virginale e la malizia
femminile di grande amore di bimba,
per me primigenia, che sull’autobus dalla
mia prima festina a casa accompagnai.
Ed infatti ancora alla scuola media tu vai
e presto le vacanze farai in quel di Casablanca.
Da quella città favolosa per cinema e arte
tu provieni, mia meravigliosa apparizione
che quasi miracolo sei e solo oggi io avrei
potuto incontrarti e mai più trovarti.
Sei a me venuta con sussiego di natura
mentre d’amore stavo parlando al telefono
con mia amica Giuliana, la buon bella,
e così t’ho potuta notare per la meraviglia
di natura nella mia Bonassola vivere.

Che regalo, di grazia, ‘Dei’ del cielo, divinità
creatrici e sublimatrici: cinquant’anni
antifaustiani niente sono se posso vivere da
poeta il legame più arcano, superando il tempo
spazio più travolgente e a mia prima infanzia
ritornare. Il primo amore è sempre l’ultimo e
l’ultimo sempre il primo, con Stephany - mia
iniziatrice miltoniana - a ricordarmi sua assoluta
presenza, con Barbara di gran poesia oggetto.
Questa è fortuna pura, come Miriam la rosa
purpurea del Tigullio, che prima dei liguri
dal mare sorse e Venere fu nomata, dopo
Afrodite e prima di Maria o Miriam gioia,
che quando con suo visino perfetto eleva gli
occhi al cielo è così psicopompa da farmi
volare in ogni mondo fantastico.

Ecco che cosa può essere amore: un sereno
appagamento, dopo tanto tormento, per dare
un ‘abbacio’ teneramente senza fine a creatura
dal cielo venuta per da me felicità ricevere,
dandomi tutta l’ispirazione possibile che Rumi
poeta nel suo “oceano d’amore” forse non
avrebbe potuto concepire.
Chi può dire che ha nuotato nelle iridi beate
di propria innamorata? Chi può ritrovare in
natura felicità pura, che rigenera senza paura
il movimento incessante di mare sibilante,
quando il mio orecchio si posa in acqua  
a iosa, ascoltando il fruscìo dei ciottoli
che rotolano sul fondo e si mescolano
in moto rotondo?

Caramellina rosa, dopo averti scartata
o piuttosto disvelata poco a poco meravigliata,
posso delicatamente per nostro animo comune
baciarti e carezzarti fino a ciucciarti per tua
infinita dolcezza “très doucement”gustare
e fino all’inesaurabile esaustione rigustare.

Marco Maria Eller Vainicher
(16 giugno 2005, pomeriggio)