ALLA SCULTURA CLASSICA

Son almeno cinquant’anni, insomma mezzo secolo,
che inseguo la visione dei cosiddetti “Marmi Torlonia”,
in realtà fantastici campioni della scultura classica
che da Donatello, a Michelangelo, al Cellini ispirarono,
nella potenza delle loro forme bronzee e marmoree.
Essi furono in origine nella gran varietà dei colori di
scultrice pittura imbevuti poiché così concepiti, ma
già in rinascimentali temperie ahinoi sbiancati perché
dei colori dalle varie intemperie privati.

È commovente visitare dietro il romano Campidoglio
tanta beltà greco-romana, ch’eppur rappresenta sol
meno d’una sesta frazione di quanto conservato in uno
scrigno museale, oggi al pubblico inaccessibile, che si
trova sulla Lungara fra porta Settimiana e l’orto botanico.

Il volto di giovinetta qui esposto ricorda quello ancor
più intenso ricuperato dal colle del Partenone e che
in tenue riproduzione di fototipia accoglie dolce chi
entra in mia ‘sovrapapalina’ magione, dopo l’ascensione
di ben 78 scalini per nulla piccini. Ed i papi c’entran
sempre nella gestione di quelle collezioni, come la loro
ner’aristocrazia di proprietari terrieri, ordunque banchieri,
forsanche barattieri, certo raccoglitori d’opere d’arte per
del bello imperituro apprezzamento in loro appropriazione.

Il bronzeo “Germanico” che a sorpresa subito ti accoglie
frontale all’inizio della mostra, impressiona in particolare
per la perfetta proporzionalità anatomica della muscolatura
caratterizzante sua umana figura, stante e quasi semovente
in un attico chiasma fantasticamente sapiente.

E così avanti son tanti i momenti di sorpresa delizianti, al
di là delle celebrazioni di potere e simbolica bellezza per
raccordi a volte discordi. Così è per i truci volti d’anziani,
notabili imperiali quasi senza eguali, rispetto alle floride
fattezze morbide delle veneri in procaci pose para ninfali.

Emoziona l’idea che per almeno un millennio gran parte
di tale patrimonio fu nascosto, anche a sé stesso, sotto le
rovine lasciate alle intemperie di un non voluto “plein-air”
nei terreni dei suoi archeo scopritori.  Così in questa tiepida
mattina di sole invernale, con l’Urbe ai nostri piedi e il
Campidoglio a meno d’un tiro di schioppo, siamo riusciti
a gioire di tanta testimonianza d’arte e storia che impronta
di sé la museal-musiva disciplina della nostra
rappresentazione statuaria classica.

Son curiose le posticce, filologicamente inaccettabili,
giustapposizioni del tempo di lor collezione, quindi le
manipolazioni di almeno una quindicina di secoli dopo
la loro originaria creazione, di quelle sculture scolpite
intorno all’inizio dell’era volgare e poi ricelebrate in
quella vuoi rinascimentale, vuoi barocca e vieppiù
neoclassica estetica vicenda. Ci son nomi di artisti
che segnarono il loro tempo ad esservi coinvolti ed
uno per tutti fu dei Bernini il gran Gian Lorenzo.  

Ma l’ultima chicca è il bassorilievo di doppia quadriga
super galoppante, posto in esterno dei locali di nuova
apertura a villa Caffarelli, che ai pegasi di Tarquinia ci
fa pensare e tutti noi saluta in ‘ver’autentica’, poiché per
sempre partecipata, commozione: e dico fico!

Marco Maria Eller Vainicher
(10 febbraio 2021)