ALLA RICERCA DEL DIO MITRA
Càpito per mero caso nello
sconfinato di Michelangelo cortile
e il riuso dell’antico in questa Roma
rubata mi sgomenta per l’enorme e
informe trasandatezza del quasi
restauro sempre incompiuto di
generazione in generazione.
Son riaperti i sotterranei accanto a
Santa Maria degli Angeli con le olearie
monumentali e le olle come sedili accostali.
Poi delle Terme di Diocleziano altre aree saranno
utilizzate per mostrare le statuarie trascurate e
spesso mutilate, come altre opere musive e decorative
graziate dal gran bimillenario Giubileo papalino
e un poco antiquario come in un reliquiario.
Il chiostro sterminato è ora di pastello
affrescato in un lieve azzurrato che contorna
e sovrasta archi e colonne in quantità sorreggenti
alzati di finestre ora quadrate ora pianogivali,
a mo’ del fiorentino Ponte Vecchio modellati.
E le proporzioni sono enormi e solitarie, quasi
da agoràfobia nel pieno centro della metropoli
più caotica e nevrotica, dopo aver attraversato
un antistante giardino preceduto dai resti d’umana
sporcizia e bivaccante nequizia della ferroviaria stazione
più vasta di tutta la nazione: che superiore dimensione!
Qui sento ver’odor di bosso dai cespugli squadrati e vedo
il cipresso con la palma e la magnolia: vorrei tanto ricordare
“La Cour d’Honneur” o “La Place Royale” accanto al “Palais
du Louvre” sulla “Rue de Rivoli”, ma qui tutto è più gran spettrale
e meno super regale in certosino antiquarium conventuale.
Le erme, le urne, le lapidi, le are
s’ergono a sfida dei secoli insieme
a tanti resti scultorei, come le gran teste
dei cavalli, dei tori, dei montoni, dei
‘rinoceroni’. Ma ci si chiede per quali calli i
fantastici animali sesquipedali che contornano
la centrale fontana di rosa piana, rinascimentale,
si volgeranno in tiranno rituale ad inquietare i
nostri animi che attraversano per metempsicosi
le scaturigini di tante iniziazioni delle origini.
Il marmo cipollino in sì gran spazio un po’
spagnolino dà gran meraviglia di fasto antico
e imbrunito dal tempo: sul tetto occidentale
dai rilucenti coppi svetta il campanilotto con
orologio a vista e sa di vagobarocco con
rintocco proprio in quest’attimo di quarto
pomeridiano sessantino e limpidino in
ottobrata romana di caldana, ma di cielo
nettato da tanta pioggia antimeridiana.
Scopro poi in emersione i palazzi del Tesoro
giallastri in vista disturbanti e sentenzianti
e di nuovo il palinsesto riemerge tosto
sovrapposto come ribollente mosto.
Finalmente troverò nell’epigrafico museo,
ove tutti me l’han negato, il bassorilievo
del dio Mitra colorato che uccide il toro
cosmico soggiogato per dar vita alla
prospera messe allevata da sole e luna
in souplesse: il mistero è qui svelato del
culto indoiranico, esoterico e panico,
precristiano e tanto arcano.
Marco Maria Eller Vainicher
(12 ottobre 2004) |