ALLA CASA GIALLA

Qual pittore d’apriche beltà mi fermo a
poetare in un regresso non di glicine
fiesolano, ma d’ansa bonassoliana. Già,
son proprio alla casa gialla che mio papà,
imperituro babbo milanese, sempre
celebrò in età favolose, oramai da un
cinquantennio sorpassate ma non superate
perché dalla memoria sempre rivivificate.

È proprio bella quella casa provenzale
con le persiane bicolori, verde pallido e
più intenso, e con al centro una madonnina
inferriata, non si sa se per prottergerla o
imprigionarla, come in una “gabbia dei
grilli” la brunelleschiana cupola rossa si
tentò di contornare.

Qui c’è il mare senza cielo, perché tutto
l’azzuro si confonde e di gran macchia
c’inonda il profumo, con i monti verdi
verdi scuri sugli olivi verdechiari, in un
argentato singolare che tutto avvolge
questo creato: e sembrerebbe da nessuno
disturbato, se non fosse per un motore
acceso lasciato. È piacevole l’incannuciato,
mentre i singolari fiori della passione
m’hanno quasi circondato con le apone
che ronzano come moscone. Col glicine,
altro fiore di passione è già stato colto,
quasi a chiudere per sempre mia storia di
Viviana recente, mentre una Francesca vedo
scritta che fu per lei mia invenzione di Sirena
sorprendente, ed è suadente il solatio
infinit’azzuro quasi bambagia avvolgente.  

Eccomi a studiare il mio improbabile itinerario
di mare nello strapiombo di mirto, di lavanda
e di lentisco sulla spuma frusciante d’eterno
maroso contro gli scogli petrosi, come questo
muretto a secco di rosso verde vestito e di
bianche striature arricchito.

Le cime delle cinque terre verso sud punteggiano
il profilo del cielo, con l’antico borgo di Levanto
ai loro piedi e il mare sfumato nella foschia
densa in lontananza, dalla prospettiva sollevato
fino ai più alti scogli elevato, per con la vegetazione
fondersi beato.

Finora mi son salvato, ma mica poi tanto
perché stufato dalla locale prepotenza
sbruffona, ed eccomi a quasi afferrare una
rondinella in volo alare per proprio con lei
giocare.
Qui sotto tutto han sciupato con tettoie
che d’amianto sembran fabbricate, così
sarà meglio agli sfruttatori alloggi loro
lasciare, senza neanche pensare di
contrattare un soggiorno sul mare...

Poi la svolta vorrò fare per di nuovo la casa
gialla ammirare, dove il povero babbo serbò
i suoi sogni morendo tristemente sulla strada
e ad altri lasciòche la sua ideal magione si
facesse ricordare.
Per un riappropriarmi di quell’entroterra
pur deturpato, che nella prima età in tutta
probabilità non sapevo conoscere, è come
ritrovare la lettura d’un libro d’infanzia che
presto m’incuriosirà e nuovo fermento alla
mia fantasia darà...

Son le ginestre gialle, come la Casa, che
digradano al mare e salgono alla montagna
a darmi l’ultima memoria viva di tanta natura
in calore di magnifico odore proclive, ma fin
quando non si sa... se ancor vivrà?

(15 giugno 2005)

 

        ODE ALLA CASA GIALLA

Guardo questo antico muro di Levanto
con le sue tracce di mare e di vetustà
del porto-canale, oramai nei secoli seppellito,
e penso a quella meraviglia di casa gialla,
che fu ammirata e desiderata da mio padre,
ed è nella curva a regresso verso quel di
Bonassola, contro cielo e mare sulla pettata
che s’erge affannata da chi s’inerpica su per
il promontorio verde di pini e di pietra
levantina a serpentina che ‘fortindomita’
regge a ogni sconquasso di tempeste
e di agitatissime mareggiate di quel
super mare azzurro smeraldino, che si perde
a vista d’occhio, ma che s’imbianca di rabbia
furiosa quando gli elementi lo spingono
in quei frangenti tra costa e venti.
Quei venti che lo spazzano impetuosi fra i
troppo ampli e violenti marosi, abbattendo
tutti gli ostacoli che si frappongono e li
sconvolgono, come fuscelli sommersi da
Tsunami immani.

La casa gialla è troppo bella con le persiane
bitonali, quasi fossero spartiti musicali, e con
lo stile provenzale, dai colori pastello, tenue e
bel bello. Il giardino è d’amore per i fiori
d’ogni colore e vorrei anch’io per sempre
rimanervi e rimirare quel mare di sogno
che non conosce bisogno di cercare altra
di natura meraviglia, quasi non ne fosse
figlia... È dunque uno dei punti “edenici”
di questa terra. È paradisiaco appunto e
graziato dal panorama più completo per
le due famiglie che può ospitare con dietro
altra casetta che dà più su Levanto, ma
farebbe accontentare il più esigente dei
naturalisti che amino esser poco visti, ma
stare in un luogo tutto da abitare per la
stupenda natura che si può vivere e
ammirare. Son un po’ guardato male
da signore che si chiede s’io non sia clandestino
o impostore, certo per lui scocciatore: tuttavia
per chi lo guarda non c’è demoralizzazione ma
solo un po’ di stupore per il mancato rispetto
per un compositore d’arte e poesia.

C’è stato un fulmine che ha dannegiato
un po’ di tetto sul terrazzo di rimpetto
a una delle più belle viste pensabili
e forse c’è un po’ di nervosismo per
i lavori necessari a tutto riparare.
Ma come si può trascurare la fortuna
immane d’avere tanto po’po’ di capolavoro
da amare e perfino adorare?

Sono in un locale tenuto da caribici,
più lenti delle cimici, e mi riappare
il muro con tracce di mattoni rossi
e archi verdi: nessuno mi dà retta
ma è ora di andare, ché anche questa
notte di fronte a quella casa ci dovrò
passare e pensare a mio padre che tanto
l’ha desiderata, senza aver il tempo
di potersela comprare per poi saperla
abitare.

È un po’ mia nella fantasia mentre
la dominicana strilla disturbando,
come al solito, il mio udito delicato.
Speriamo che questo mito della casa gialla
sia tramutabile un dì in realtà, ma solo
se sarà per riconusciuto dono di una
patria troppo ingrata, verso i suoi figli
che all’immigrazione hanno resistito,
come il famoso magistrato che oramai
hanno irrevocabilmente pensionato.

Marco Maria Eller Vainicher (sera del 29 giugno 2005 a Levanto)