LA VIVEZZA DI QUELLA SUPER CUPOLA
GIUBILATA

Il sole sorge verso mia finestra contro gran
silhouette di guglia ad aguglia, che da croce
bisanzia scende in gran prestanza su globo
dorato e sotto coniata lanterna di notte
illuminata, fin giù a terrazzo circolare che
si appoggia su piena curva ricurva: “di te
più grande, ma non di te più bella”, secondo
michelangiolesco detto di brunellesco rosso
fiorentin capolavoro ad ogiva, da sezione aurea
di Pantheon tratta.

Il sole sorgendo impedisce in controluce sul
bianco slavato accampato in cielo azzurrato
d’ammirare i rilievi coevi della cupola, il duomo
per eccellenza sorretto da coppie di colonne
simili a trine in punto ombra e da capitelli
gemelli in ionica cadenza abbinati e insuperati:
nella sorella dimensione basso-grande e alto-
piccola con armonia e melodia di forme,
scandite dallo stellato degli abbaini in tre
ordini ricamati e racchiusi in sedici
spicchi lesenati, che serializzano anzi tempo
la varietà alternata delle strombature di finestre
architravate e grigliate.
La cupoletta minore è anch’essa accoppiata ai
due lati maggiori della facciata e sapientemente
innalzata all’altezza aggraziata delle colonne
maggiori contornanti il tamburo del romano
cupolone, che a Firenze così è chiamato anche
se un po’ più limitato.

È un gran peccato che quel gran gioiello
d’architettura imperitura, cangiante a tutte
l’ore per l’influenza del movimento apparente
d’astro maggiore e di nubi e pioggia e vento
a fortiori, che gli danno sublime vivezza e
bellezza. Ma sciupato dal simbolo troppo di
potere che rappresenta, di supremo controllo
delle coscienze: duomo dei duomi, cupola delle
cupole, capolavoro d’ipocrisia massima che
Vaticano teocratico e idolatrico rappresenta,
con tutte quelle bardature canoniche e quelle
statuone di santoni inquietanti e osannanti
loro stessa celebrazione.

Sarà la superiorità delle forme a vincere la
memoria d’intollerante inquisizione e assoluta
presunzione, o verrà tuttavia schiacciata dalle
aberranti supposizioni di occidentale abiura
in congiura di tortura dell’umana libertà di
pensiero al di là d’ogni ‘dottriniero’ condottiero
di papal mistero! Già è un ben triste mistero
l’ingiustizia del mondo intiero che qui dovrebbe
esser ristabilita ed invece è subdolamente tradita
e umiliata con concioni e manifestazioni di parata.

Il bello chiede l’orpello, o bello sarebbe posseder
beltà senza empietà? Retorica questione a protezione
di nostro sgomento per tanta contraddizione che pur
vitamorte, bel brutta, buon cattiva e ben misera
richezza ci dà... e ci darà finché tutto non finirà e
chissà, chissà?

Marco Maria Eller Vainicher
(2 maggio 2005)