L'ORRORE DI ROMA
(l’anonimata)
La stessa penna si rifiuta di scrivere,
cosicché son costretto a scartarla e
a cambiarla, quasi temesse di lasciar
traccia di tant’orrifica bruttezza.
Ho attraversato dalla Bufalotta sul
raccordo anulare in ripugnante centro
commerciale fino alla Nomentana,
quartiere anonimo peggio d’alveare
alla Mumbai, ove ogni costruzione è
uguale all’altra in variazione ‘antimusicale’
per ospitare, si fa per dire, lo stupro
continuo d’umanità violentata, come ai
tempi delle baracche copiose d’ultimo
dopoguerra, ancor privo delle case dette
popolari ma quali fatiscenti alveari.
Questo era il bel paese, ma ora è il trionfo
dell’uniformità nel brutto e nel disumano.
Attraversamento da incubo ove ti senti
perso a ogni rotond’incrocio e perfino da
una rotond’all’altra. Devi riuscire a chiedere
la via nell’irriconoscibile, sapendo che sei
immerso nella speculazione senza fine ove
una via vale l’altra perché non è possibile
orientarsi assatanati dal senso di prigione
senza stagione, che pur nel caso già mani-
festerebbe i prodromi di primavera in una
natura costretta e schiacciata dall’asfalto e
dal traffico immondo e incessante di macchine
sferraglianti che non sanno neanche fermarsi
un attimo a darti retta, se non a metterti sotto.
Slarghi che non assumono la dignità di piazze,
palazzi senza né arte né parte; tutto è
antiarchitettura per la bruttura.
Arrivo sconvolto all’Aniene e mi chiedo dove
mai possa dirigersi quel serpentone ‘insipientone’:
tutto ciò perché ho dovuto portare a riparare bici
elettrica sovente non funzionante.
Paradosso amaro e raccapricciante fra mezzo che
potrebbe condurti ad amene passeggiate, mentre
a casa del diavolo ti mena e ti smena fra gentaglia
che di pura pasta burocratica è fatta e sputata,
dunque spietata nella sua indifferenza.
Marco Maria Eller Vainicher
(19/02/2013) |