A TERRACINA
(L’etrusca Tarcina)

L’ombra del tempo si allunga perenne
sulle sculture marmoree che abbelliscono
il piccolo museo in fascistico palazetto contenuto,
ove si espongono i risultati salvati degli scavi d’Appia
antica, qui svoltante a Terracina alta con gran panorama
marino d’eterno fascino sé cangiante ma costante.

Sulla piazza di lastroni lucidi, consumati
e levigati dai passi di cento generazioni
s’affaccia la cattedrale sopraelevata di
amalfitana fattura, col campanile mirabolante
e aggetante nel suo erto slanciarsi contro il cielo
d’azzuro terso e il monte avvolgente.

Intorno vestigia romane, antichi palazzi gotici,
l’incombente alta mole bianca dei Frangipane,
famiglia che dette nome anche alla via di mia
prima dimora romana avanti la basilica di
Massenzio e sul Foro della Pace.

Tante, troppe casupole fatiscenti, orrende
superfetazioni deturpanti, mura bizantino-medievali
dette “muracce”, perché deformate da assurde costruzioni
abusive, guastano in una trascuratezza sfacciata e arrogante
i fori cadenti, con le impalcature di pseudo restauro
annosamente presenti.

Mi infilo per una viuzza e scopro, dietro un portoncino
di legno scuro, a sorpresa, un’esposizione di fotografie
più che suggestive, accolto dal sorriso aggraziato di giovin
signora più che ospitale e dal fare gioviale.
Il suo autore, Ettore, come l’eroe perdente dell’Iliade,
e perciò così da chi lo conosce amato, mi mostrerà,
su supporto elettronicamente avanzato, le immagini
ritraenti, quali “Dying Season” (stagione morente),
quel mio temporale avviluppante che mi spinse a
scrivere ‘Fra la vita e la morte’. È un’incontro di
fotopoesia che forse porterà a una inattesa
riemersione di mia più vera vocazione, respinta
e negletta da figlia senza devozione.

Ettore con Vittoria, contro la sconfitta omerica,
sembrano credere a mia lettura con ragione.
E così, cullandomi in tale illusione, vado a rivisitare
il Tempio di Giove bambino, ove il culto per il sole
nascente si fonde con quello morente, tuttavia ancora
risplendente a Occidente. Mentre, sconfiggendo la notte, 
sempre in ogni domani risorgerà a Oriente.

Lo splendore struggente dei due golfi a Terracina
ricongiungenti Oriente e Occidente, sud e nord, alba
e tramonto, nascita e morte, in una incessante,
sacra reincarnazione sapiente, mi darà il senso magico di
quella fusione di civiltà fra Akhenaton e Mosé, fra egizi
e semiti, fra le grandi religiosità che nella marina natura
alimenteranno forse per sempre, con nostra memoria, la
cultura dell’incredibile ma vero e delle false credenze fatte
di spettacolari e oracolari parvenze.

Sì, mio padre, sulla scorta di studi misterici in voga
nel suo tempo, trasmise a me bambino l’idea che
proprio là, in quel vasto territorio costiero, conurbato
e trasandato perché oggi assaltato dalla speculazione edilizia,
fosse nato niente meno che l’Homo Sapiens, caratterizzato
dalla sua spasmodica ricerca di vita nello specchio del Mediterraneo
mare, che bagna incredibilmente un crogiulo inestricabile di popoli,
vuoi scomparsi, vuoi viventi e confliggenti.
L’Alfa e l’Omega si ricongiungono in una Meridiana arcana fra Gaeta
e il Circeo, con Anxur come punto apicale per la nostra
soddisfazione fatale dell’eterno bisogno sacrale.

Marco Maria Eller Vainicher

(11/06/2007)